Caro Renzi non basta la spending review per cambiare in meglio la Rai

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Questo governo vuole o no occuparsi della Rai? Che Matteo Renzi avesse in testa altre priorità – più stringenti, magari anche più appariscenti e, perché no, più sentite dall’opinione pubblica – era evidente. Non aver approfittato, poi, del gran giro delle poltrone pubbliche, lasciando Luigi Gubitosi al posto di direttore generale, è stata una scelta interpretata dai più come la dimostrazione che Renzi non avesse davvero alcuna voglia di passare per quello che mette le mani sull’informazione. Non in questa fase, almeno. D’altra parte, grazie al ruolo di premier “innovativo e veloce”, Renzi si è già garantito una presenza record su tutti i media, tv compresa.

Già, ma un conto è non mettere le mani su viale Mazzini, un conto è non piegarsi alla lottizzazione, un altro conto è finire per mettere anche la Rai nel grande gioco della spending review. C’è chi ha parlato di salasso, chi di scure, chi ha messo il servizio pubblico radiotelevisivo sullo stesso livello di “banche e boiardi”. Il risultato è che fra i dirigenti e i giornalisti il tasso di nervosismo è salito alle stelle.

Ecco la frase incriminata, capace di creare scompiglio e rabbia: “La Rai” parole di Renzi “è chiamata a concorrere al risanamento con un contributo di 150 milioni di euro, viene autorizzata a vendere Raiway e a riorganizzare le sedi regionali. Non è nella disponibilità della Rai decidere se partecipare o no, perché i 150 milioni li mette, ma può decidere come”.

Ora che la Rai come tutte le aziende pubbliche, come tutti i ministeri, come gran parte della pubblica amministrazione, debba fare la sua parte in nome del risanamento dei conti pubblici e del rilancio dell’economia, non scandalizza nessuno. Anzi. Che poi top manager e direttori Rai debbano rinunciare – come tutti – a parte del proprio super stipendio, non deve creare scandalo. Anzi.

Che cosa c’è allora che non va nelle parole di Renzi? Quello che non è proprio piaciuto, è la sensazione che al momento manchi completamente da parte del governo una visione strategica sul futuro della Rai. Eh si, perché la Rai non è un’azienda come le altre. Dovrebbe – anche se oggi non lo è abbastanza – essere un presidio della democrazia, un pezzo importante del welfare, una pedina per lo sviluppo del mercato dell’audiovisivo. Ebbene Renzi la invita a tagliare qua e là senza dire a che tipo di servizio pubblico pensa il governo nell’epoca della rivoluzione digitale? La convinzione, insomma, che si traduce in paura, da parte di chi lavora in Rai, è che si lasci andare l’azienda alla deriva, che si finisca per metterla in una condizione di assoluta debolezza e incertezza, proprio quando si avvicina il maggio 2016, la data per il rinnovo della concessione. Ora, se finora Renzi avrebbe preferito non occuparsi della Rai, oggi credo che non possa più permetterselo.

Da sempre, c’è chi sostiene che è importante separare la “Rai operatore di rete” dalla “Rai fornitore di contenuti”. E’ così in Francia, è così in Gran Bretagna, in Finlandia, ed è la strada di gran parte dei broadcaster pubblici in Europa. Con l’affermarsi delle tecnologie digitali non è più indispensabile controllare direttamente la distribuzione del segnale audio e video.

E per di più le torri e gli impianti che sono serviti alle aziende televisive oggi possono diventare un business per la distribuzione della telefonia mobile. E’ così per Mediaset che ha concentrato in una società separata, iTowers, tutte le sue torri. E se in un domani Raiway diventasse un’azienda pubblica separata anche dal punto di vista proprietario dalla Rai, sarebbe una strada moderna e percorribile. Di più, potrebbe – visto il caos del mercato delle frequenze e vista la crisi delle tante, troppe tv locali che ormai dopo la digitalizzazione hanno perso peso – diventare l’operatore in cui concentrare la distribuzione del segnale anche per tutte quelle tv locali disposte a cimentarsi in una nuova sfida, quella di creare le condizioni per servizi pubblici di prossimità. Ora se questa ipotesi si facesse strada, per la stessa Rai si aprirebbero nuove possibilità.

Quando si vuol cambiare, fare delle riforme pesanti, è bene raccontare subito quali sono gli obiettivi che si vuole raggiungere: un servizio pubblico che deve traguardarsi ai prossimi dieci anni, deve rifondarsi e sapere che il passaggio da semplice broadcaster a media company è indispensabile ma anche doloroso. E soprattutto per avere successo al tempo di internet deve diventare coinvolgente, partecipato, ed essere non solo coraggioso, ma anche veloce.

Difficile e sbagliato immaginare che basti la spending review per riformare la Rai. Ci vuole un disegno strategico, ci vuole un percorso simile a quello che in Gran Bretagna ha affrontato la Bbc. Ripeto: magari finora Renzi, per tante buone ragioni, non voleva occuparsi della Rai. Da oggi non può più permettersi di non avere idee forti e chiare sul futuro del servizio pubblico dell’audiovisivo. Magari potrebbe cominciare con il dare subito le deleghe che erano del viceministro Catricalà al nuovo sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli.

http://www.huffingtonpost.it/carlo-rognoni/renzi-rai-tagli_b_5178279.html?utm_hp_ref=email_share


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