Arrestati Nicola, Giovanni e Antonio Cosentino. Li definimmo “affari di famiglia”

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Li definimmo “affari di famiglia”. Qualcuno disse che no, ci eravamo spinti molto oltre il diritto di cronaca e anzi, che quel libro era uno schiaffo al diritto-dovere dei giornalisti di verificare, documentarsi e al tempo stesso non crocifiggere gli indagati finiti sotto i riflettori della cronaca giudiziaria. “Il Casalese” è stato pubblicato nel 2011, nel frattempo l’ex sottosegretario Nicola Cosentino è finito agli arresti due volte per due diverse inchieste. L’ultima stamane all’alba: concorrenza illecita, episodi di estorsione e concussione per favorire l’attività degli impianti di distribuzione di carburanti gestiti dalla famiglia Cosentino, il tutto con l’aggravante del metodo mafioso grazie all’amicizia con il clan dei Casalesi. All’attività di ‘Aversana Petroli’, ‘Aversana Gas’ e ‘Ip Service il libro edito da Centoautori, scritto a più mani da Massimiliano Amato, Luisa Maradei, Arnaldo Capezzuto, Corrado Castiglione, Peppe Papa, Antonio Di Costanzo, Vincenzo Senatore, Giuseppe Crimaldi, Ciro Pellegrino, ha dedicato un corposo capitolo. Oggi che le accuse consentono di emettere misure restrittive verso 13 persone tra le quali anche Giovanni e Antonio,  i fratelli dell’ex sottosegretario all’Economia ed ex coordinatore del Pdl campano, sono i fatti e non più le opinioni a stabilire che quelle vicende erano giornalisticamente più che rilevanti. Che la maxi richiesta di risarcimento da 1,2 milioni di euro con tanto di richiesta di distruzione del libro avanzata proprio da Giovanni Cosentino, tradiva una evidente preoccupazione per un’inchiesta giornalistica che ancora oggi, tre anni dopo la pubblicazione, trova nuove conferme nel lavoro della magistratura inquirente. Chi ha creduto – e fortunatamente sono stati molti, in primis proprio ‘Articolo 21’ che il racconto dell’epopea di Nicola Cosentino, dai comizi a Casal di Principe alle poltrone del Parlamento fino a quelle di governo, dovesse essere difeso dall’aggressione legale di chi evidentemente non aveva interesse a mettere nero su bianco storie, personaggi, dubbi, inchieste, ha oggi, per la seconda volta una risposta. Che è anche una risposta alla domanda : a cosa possono servire le inchieste giornalistiche nella gattopardiana Italia della politica? Ad analizzare fatti, persone e circostanze prima che la magistratura accenda i riflettori; a porre domande prima che arrivino ordinanze e intercettazioni. A fare chiarezza o almeno a contribuire ad un processo di trasparenza su chi amministra la cosa pubblica. Un valore, dunque, fondamentale. Peccato che spesso occorra tribolare così tanto per affermarlo.


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