Afghanistan, un voto contro la paura e la censura

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6.770 seggi, 195.000 uomini delle forze di sicurezza, 250.000 osservatori nazionali ed internazionali; i numeri sanciscono il trionfo del coraggio sulla paura, la determinazione di un popolo straziato nel corpo e umiliato nello spirito. Il 5 aprile non verrà ricordato per il frastuono delle esplosioni, ma per i sette milioni di “graffi” con cui le penne degli elettori afghani hanno inchiostrato le rispettive schede. Al termine del secondo mandato di Hamid Karzai, il 58% degli aventi diritto al voto si è recato alle urne per “manifestare liberamente il proprio pensiero”. In attesa dei risultati definitivi (intorno al 24 aprile), gli esiti parziali anticipano l’evenienza di un ballottaggio in data 28 maggio: nessuno degli 11 candidati sarebbe infatti riuscito a superare il 50% dei consensi necessari per aggiudicarsi la presidenza. Abdullah Abdullah, ex ministro degli esteri (41.9%) e Ashraf Ghani, ex ministro delle finanze (37.6%) sembrano essere i nomi caldi per la rincorsa finale.

L’affluenza ai seggi, in sorprendente crescita rispetto al 31.4% del 2009, riflette la consapevolezza di un paese sempre meno disposto a sopportare i ricatti dei taliban. Il bilancio finale è macchiato da una decina di vittime e dai consueti tentativi di broglio ascrivibili sopratutto alle zone rurali.
L’Afghanistan sta quindi cercando di lasciarsi alle spalle le “ombre insanguinate” del recente passato, rivendicando quella sovranità popolare a lungo eclissata dal potere delle organizzazioni terroriste. La lotta verso la libertà d’espressione pare appena cominciata, ma in 7 milioni hanno già versato il proprio inchiostro sul campo di battaglia.

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