Blocco del canone per ridimensionare il Servizio Pubblico. La Rai faccia ricorso

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Parlare del canone è sempre molto difficile perché – dicono – sia impopolare. Forse così si spiega il silenzio con il quale è stata accolta la decisione del ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, di bloccare il canone alla stessa cifra dell’anno scorso. Abbassare i costi per i contribuenti, si dice. Obiettivo giusto, in particolare in una fase di crisi economica. Ricordiamo, in ogni caso, che il canone oggi vale 2 tazzine di caffè a settimana per ogni famiglia.
E allora, chiariamo subito, se si vuole davvero abbassare i costi per i contribuenti è necessario fare una sola cosa: abbattere l’evasione, arrivata ormai a 550 milioni di euro ogni anno. Ma, per farlo, non bastano generiche dichiarazioni di lotta all’evasione, ma fare riforme. L’Usigrai lo dice da tempo: portare il canone in bolletta, oppure trasformarlo in tassa di scopo, progressiva sul reddito e con l’esenzione delle fasce meno abbienti. Solo così sarà possibile abbattere l’evasione e, dunque, ridurre il canone e abbassare i costi per ogni singolo contribuente.
Di queste riforme, però, non c’è traccia.

Entrando poi nel merito del provvedimento, ritengo che la Rai debba valutare l’ipotesi del ricorso contro il decreto ministeriale. Un precedente esiste e fu fatto nel 2006, contro il blocco deciso dall’allora ministro Mario Landolfi.
Il Testo Unico della radiotelevisione dice infatti che il canone deve essere fissato in funzione di 3 parametri: la previsione di spesa per l’anno successivo per gli oneri da Servizio pubblico, l’inflazione programmata e le esigenze di sviluppo tecnologico.
Non è una mera potestà, è una prescrizione di legge.

Nel decreto ministeriale non c’è traccia di tutto questo, determinando evidenti profili di illegittimità dell’atto. E, visto che l’inflazione programmata è un dato oggettivo, per mantenere i costi invariati, il ministro ritiene che siano le altre due voci quelle da ridurre?
Secondo il ministro la Rai deve ridurre la sua offerta come Servizio pubblico?
O deve fermare i propri investimenti tecnologici? Ricordiamo con l’occasione che la Rai nel 2014 completerà la digitalizzazione del Tg1, del Tg3 e avvierà quella delle redazioni regionali. E, inoltre, le linee guida Agcom chiedono espressamente alla Rai di investire in innovazione.

E qui entriamo nella dimensione politica della decisione del ministro Zanonato.
Nel decreto approvato nei giorni scorsi, si dice che si ritiene “inderogabile la necessità di rendere coerente la misura dei canoni di abbonamento alle radiodiffusioni per l’anno 2014 (…) ai principi guida della Revisione della spesa in un quadro di coerente delimitazione degli obblighi di servizio pubblico da realizzare anche in sede di approvazione del contratto di servizio Rai per gli anni 2013-2015″.
In sostanza, nel decreto ministeriale si ipotizza una riduzione del perimetro del Servizio pubblico. Sulla base della Revisione della spesa del Commissario per la Spending Review Carlo Cottarelli, del quale si conosce solo il “piano di lavoro”, i titoli, ma non i contenuti.
E per di più si ipotizza tale riduzione nel contesto del Contratto di Servizio già approvato dal ministero e dalla Rai e ora al vaglio della Commissione parlamentare di Vigilanza.
Si tratta di una previsione molto grave che getta un’ombra ancor più preoccupante su alcune novità introdotte dal nuovo Contratto e fortemente criticate dall’Usigrai, dalle altre organizzazioni sindacali e da associazioni e movimenti.

Mi auguro che si superino i “pudori” sul tema del canone, e il governo, le forze politiche, le associazioni chiedano al Ministro dello Sviluppo economico conto di tale decisione. E delle ragioni che lo hanno portato ad assumerla.
Non è in discussione il previsto aumento di 1,2 euro del canone. Ma il futuro del Servizio pubblico in Italia. Alla vigilia del rinnovo della Concessione del 2016.
Quanto è avvenuto chiarisce una volta di più, se mai ce ne fosse ancora bisogno, i guasti che crea il fatto che la proprietà della Rai sia nelle mani del governo: ogni anno il ministro di turno può decidere in maniera unilaterale di ridurre le risorse a disposizione della Rai, in barba a qualunque piano di investimenti programmato. La mancanza di libertà economica è uno dei principali elementi di assenza di autonomia e indipendenza.
Ma purtroppo della Rai ci si ricorda solo per far cassa, e non per approvare quelle riforme indispensabili a renderla autonoma da partiti e governi: riforma dei criteri di nomina dei vertici, riforma del canone per assicurare certezza di risorse, legge sui conflitti di interesse e limiti antitrust.

* Segretario nazionale Usigrai


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