Rai: il programma di Cottarelli: “sottoporre l’azienda ad affidamento o a dismissione”

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La privatizzazione della Rai sta diventando uno sport nazionale tra ministri, viceministri, banche d’affari, grandi imprenditori, guru dell’economia e consiglieri dei principi venturi: da Saccomanni a Catricalà, da Mediobanca alla Adam Smith Society, da De Benedetti a Tarak Ben Ammar, al consigliere economico di Renzi Bora Gutgel, aspirante ministro e già direttore di McKinsey, la società di consulenza aziendale che ha in affidamento la riorganizzazione della Rai (sic!). Ma, del tutto inosservata, la ciliegina sulla torta, l’ha messa due giorni fa Carlo Cottarelli (nella foto), Direttore degli Affari fiscali del Fondo Monetario Internazionale, nominato di recente, dal Presidente del Consiglio, Commissario Straordinario per la revisione della spesa (RS).

Con il  “Programma di lavoro” presentato il 19 novembre 2013, riferito ai tre anni previsti dal “Decreto del fare”, il Commissario si propone tra l’altro, di modernizzare le procedure e le modalità di spesa delle amministrazioni pubbliche: un obiettivo pregevolissimo che ci auguriamo il Commissario conduca felicemente a termine. Tuttavia, nelle pieghe del programma, nell’allegato  “Temi e gruppi di lavoro della RS”, al punto 8  lett. b,  scopriamo che tra le Società partecipate pubbliche da sottoporre ad “affidamento, razionalizzazione, vincolo di bilancio, dismissione e riduzione di numero“, in testa a tutte, c’è proprio la Rai, cui fa seguito un elenco alquanto strampalato di altre aziende  (Invitalia, Casse conguaglio, GSE, Istituto di Credito sportivo, Agenzie servizi difesa, Poligrafico dello stato, Rete Autostradale Mediterranee, etc.).

E’ interessante notare che ad ogni esternazione dei membri dell’esecutivo sulla privatizzazione o sul ridimensionamento del servizio pubblico fa seguito una smentita di prammatica del Presidente del Consiglio: “Quante volte devo ripetere che la privatizzazione della Rai non rientra nel programma di questo Governo?”. A prima vista, sembra un gioco delle parti o, quanto meno, che Letta stia mentendo. E tuttavia, da un punto di vista formale, non siamo di fronte a una contraddizione in primo luogo, perché questo governo non ha la stazza necessaria per affrontare una questione così delicata e ricca di implicazioni costituzionali  come la privatizzazione della Rai; in secondo luogo, perché la tabella di marcia dei privatizzatori ha fissato lo show down il 6 maggio 2016, quando, approfittando del rinnovo della Concessione, si cercherà di “mettere a gara” il servizio pubblico. E quel giorno, molto probabilmente, non sarà “questo governo” a decidere del destino della Rai.

Questo altalenarsi di minacce e blandizie dev’essere, pertanto, interpretato come un modo di saggiare il terreno, di sondare la consistenza del fronte avverso e di aprire dei varchi amministrativi e legislativi alla privatizzazione, in attesa dello scontro finale. In questa chiave va interpretato il contratto di servizio laddove istituisce una differenza “ontologica” tra programmi di servizio pubblico e programmi commerciali e non prevede tra gli obblighi  del servizio pubblico le trasmissioni di intrattenimento, quelle più popolari e ad alto indice di ascolto.

Articolo 21  ha denunciato tempestivamente questa “innovazione” introdotta surrettiziamente nel contratto di servizio dal Ministero dello Sviluppo durante i giorni di Ferragosto: da allora, grazie a una crescente mobilitazione che ha visto come protagonisti tra gli altri, gli organismi rappresentativi dei giornalisti e dei dirigenti della Rai, si è riusciti a inchiodare su questo argomento i lavori della Commissione di Vigilanza, cui spetta il giudizio politico sul contratto di servizio.

A questo punto, non è da escludere che i due punti in discussione siano emendati e che la furbata estiva si riveli un boomerang: un risultato incoraggiante per chi si prepara ad una lunga guerra di posizione con l’obiettivo di trasformare la Rai in un media di servizio pubblico, indipendente, volano dell’industria culturale, audiovisiva e multimediale, e garante dei nuovi diritti di cittadinanza.


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