Ma i pirati non sono Al Shabab

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Quando, quasi una settimana fa, il capo dei pirati somali Mohamed Abdi Hassan (nella foto), detto Afweyne (“Bocca grande”) è stato arrestato all’aeroporto di Bruxelles proveniente da Nairobi, tra le bande dei bucanieri del Puntland e del Galgaduud si è diffusa l’incredulità. Cosa era andato a fare Afwayne in Europa: a trattare il più grande riscatto mai pagato per un dirottamento navale? Ad investire i proventi dei rapimenti delle grandi navi nell’Oceano Indiano? A riscuotere il saldo della vendita delle armi pesanti che aveva catturato sul cargo ucraino nel 2008? Nulla di tutto ciò. Come hanno spigato i Servizi belgi, Afwayne è stato vittima della sua vanità, essendosi recato a Bruxelles attirato dall’idea di essere ingaggiato come consulente per un film da girarsi sulla pirateria: un’esca alla quale ha abboccato come il più vanesio dei pesci di quel mare che aveva mostrato di saper padroneggiare come pochi. La polizia belga si era legata al dito il sequestro per settanta giorni della nave Pompei, avvenuto nel 2009 e per la cui liberazione era stato pagato un riscatto di circa 3 milioni di dollari e non hanno mai abbandonato l’obiettivo di catturarne i responsabili. Già altri due pirati somali erano stati arrestati per la stessa vicenda e condannati a dieci anni dalla giustizia di Bruxelles. Probabilmente furono costoro ad illustrare ai poliziotti belgi il punto debole della personalità di Afweyne che in questi giorni l’ha perduto.
Viene ora da pensare se un analogo stratagemma potrebbe essere utilizzato per catturare Ahmed Abdi Godene, il capo degli Al Shabab che hanno spostato la loro roccaforte a Barawe dopo aver dovuto abbandonare Kismayo a seguito dell’attacco delle truppe del Kenya.
A Barawe, circa 300 chilometri a nord di Kismayo, non mancano le prove virili e proprio ieri, lungo la splendida spiaggia bianca, si è svolta una gara di tiro a segno alla presenza di migliaia di persone.
In effetti la virilità sembra un tratto caratteristico degli Al Shabab. Il suo esponente Abu Mansur Al Amriki (“L’americano”), prima di essere ucciso all’inizio dello scorso settembre nel corso di un conflitto a fuoco con i governativi nel sud della Somalia, aveva rilasciato un’intervista a Voice of America in cui accusava Godane di avergli sottratto due delle sue mogli.
Queste violenze all’interno dell’organizzazione, del resto, stanno assumendo aspetti di quotidianità.
Abu Yasir al Muqdishio (“Il mogadisciano”), uno dei gerarchi di Al Shabab, ha accusato apertamente Godane ed altri dieci capi di Al Shabab di aver assassinato Ibrahim Al Afghani e Abdi Haji Colhaye in quanto esponenti meno spietati all’interno dell’organizzazione ed ha ricordato che lo stesso Godane ha condannato a morte anche Muktar Robowe rifugiatosi nella regione meridionale interna di Bai e Bakol per sfuggire ai suoi sicari.
Questo clima di terrore all’interno di Al Shabab è stato il tema principale della riunione che i notabili religiosi della Somalia hanno tenuto nei giorni scorsi a Mogadiscio e conclusasi con un comunicato che in sette punti stabilisce che Al Shabab non è un’organizzazione religiosa, ma terroristica ed emettendo una fatwa contro di essa. Il comunicato precisa ancora che la dottrina di Al Shabab non è compatibile con la religione islamica, che la loro predicazione è pericolosa e che il popolo non deve dare supporto né logistico né economico provvedendo inoltre a denunciare ogni suo esponente di cui si abbia notizia affinché sia consegnato alla giustizia.
Ma Al Shabab non sa che farsene di queste condanne a parole. Anche se frutto di una lettura distorta del Corano, la dottrina fondamentalista proviene comunque da studi approfonditi nelle madrasse dove sin da bambini si comincia col mandare a memoria le 114 sure, o capitoli, che compongono il Corano e si proseguono gli studi affrontando la lingua araba letteraria e poi l’interpretazione autentica del testo di Maometto, il diritto islamico Sharia, gli hadith … arrivando infine a fregiarsi del titolo di ‘alim, “profondo conoscitore del diritto islamico”. Insomma, anche se molti esponenti di Al Shabab sono ridotti a tingersi la barba con l’henné ed indossare kefiah per darsi un tono, i capi di Al Shabab non sono frivoli e vanagloriosi come il pirata Afweyne. E’ gente che potremmo paragonare a studiosi di teologia e di greco antico, scienze che erano apprezzate anche in Italia come tra le più formative di grandi talenti.
Nonostante la netta condanna subita dai maggiorenti religiosi riuniti a Mogadiscio, gli Al Shabab proseguono la loro attività terroristica in Somalia e ieri, nella città di Beledweyne (“Città grande”), da cui proviene l’attuale Presidente Hassan Sheikh Mohamud, c’è stato un attentato suicida presso un noto ristorante frequentato da esponenti governativi e da ufficiali delle truppe dell’Etiopia che ha provocato 29 morti e 35 feriti.
Né le forze istituzionali danno migliore prova di legalità.
L’Uganda ha richiamato e sospeso 24 ufficiali delle sue truppe aderenti ad AMISOM accusati, secondo il quotidiano indipendente The Daily Monitor, di aver venduto alla borsa nera di Mogadiscio cibo e carburante destinato alle truppe dell’Unione Africana e della Somalia.
D’altra parte domani si terrà a Kampala una conferenza stampa di Human Right Watch dedicata ai fallimenti nel perseguire la corruzione nei ranghi più alti dello Stato in Uganda.
Viene da domandarsi come possa accadere che la rinascita democratica della Somalia sia affidata, tra i primi, ad un paese con un così alto tasso di malversazioni e tirannia come l’Uganda.
Sarebbe auspicabile che i caschi verdi africani venissero sostituiti in Somalia con i caschi blu delle Nazioni Unite.

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