Alfano, che ci metteva il cappello, spacca in quattro il capello

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Ma vi ricordate Alfano & Maroni ai tempi dell’ultimo (si spera per sempre) governo Berlusconi? Erano dei cappellai tutt’altro che matti, direi dritti: mettevano furbescamente il cappello sopra ogni operazione di polizia contro ricercati e latitanti della criminalità organizzata, e talvolta pure disorganizzata. Erano là, il ministro della Giustizia e quello dell’Interno, ad apporre il timbro governativo su successi di forze dell’ordine e inquirenti, dividendosi le comparsate da imbucati: Bobo si attribuiva le catture dei boss in questure aperte ai cronisti, Angelino si intestava le manette ai capicosche in talkshow interdetti alle domande scomode (imitati dal ministro delle Politiche Agricole Zaia che, a ogni sequestro operato dai Nas, rivendicava come li avesse ordinati lui gli arresti di tonni avariati e yogurt scaduti). Il messaggio per i teleutenti gonzi era questo: siam ministri del fare. Per distrarre da leggi ad berluscam e lodi poco lodevoli, si lodavano ergendosi ad accalappia-criminali da telefilm, artefici dell’input alla retata di giornata, e scandendo il mantra del governo che, contro il Crimine, aveva fatto più di tutti i governi precedenti. Venne poi il governo Monti: gli arresti di malviventi eccellenti proseguirono senza che i ministri Severino e Cancellieri ci mettessero il cappello sopra. Ora invece il ri-ministro Alfano, per il pasticciaccio brutto kazako (affaire ben più ministeriale di una retata nel crotonese) ripete che non c’entra, è roba da poliziotti: il già compare di comparsate Maroni, dopo pochi minuti di dubbi, gli ha dato ragione. Può essere che Angelino non abbia guidato l’operazione, ignorandola addirittura (ma questo sarebbe un merito?): si vede che il ragazzo, senza più Papi come Premier che lo spronava, mi si è impigrito.

* da l’Unità


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