Giornalismo sotto attacco in Italia

A quando Tahrir atto 3°?

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da il mondo di Annibale

Un oceano di popolo ha sepolto un presidente inetto. Forza del popolo, e dell’incompetenza del presidente e dei suoi. Ma purtroppo quella con cui torniamo a fare i conti è una delle sigle più orrende della storia politica contemporanea: lo SCAF. Sembra indicare una tremenda malattia della pelle, e invece sono loro, i generali egiziani. Quelli che hanno condotto gli odiosi test di verginità sulle donne che andavano in piazza Tahrir, prima che Mubarak cadesse. Quelli che hanno governato l’Egitto con Mubarak, e prima di lui con gli altri “raìss”. Quelli che hanno costruito un gigantesco apparato militar-idustriale, quelli che ai tempi di Mubarak prendevano il doppio stipendio, da Mubarak e dall’esercito. Quelli che hanno sostenuto Morsi nel suo tristissimo anno di presidenza.

L’altra sigla con cui dobbiamo fare nuovamente i conti è quella dei “Fratelli Musulmani”: davvero la temutissima organizzazione islamista era tutta qui? Una banda di incapaci?

Il dato con cui pochi sembrano accettare che si debba fare i conti è che tra i 22 milioni di egiziani che hanno chiesto le dimissioni del Presidente Morsi molti devono essere musulmani. Segno che questi musulmani non sono “tutti uguali”, tutti fanatici, o no? O forse segno che solo una minoranza lo è! O no?

Nell’oceano di popolo che ha travolto l’inetto presidente Morsi c’è una verità evidente: il punto non è più l’Islam. La primavera, benché in molti si ostinino a dire che il termine è fastidioso, o addirittura che non esiste una “Primavera”, la Primavera è stata ed è un vento liberale, anti-khomeinista, non in senso specifico, ma in senso lato: cioè un vento contrario all’uso armato e anti-democratico dell’Islam. La Primavera è stata ed è una rivendicazione di soggettività dei popoli sottomessi a regimi dispotici ma consapevoli di essere parte di un mondo che non accetta più simili derive. (In mezzo a tanti moti c’è stata una sola rivoluzione, quella siriana: rivoluzione dei ceti umili contro i ricchi o gli arricchiti).

E’ difficile non solidarizzare con i milioni di egiziani, in gran parte musulmani, che hanno sfidato tutto e tutti per abbattere Mubarak prima e Morsi ora, ricordandogli che la sha’ria non dà cibo. Più difficile è solidarizzare con chi si appropria di un movimento popolare così liberale e libero per imporre una nuova giunta militare. Merito di Morsi, non c’è dubbio. Ma merito anche di un popolo che sembra così determinato da assicurare che i generali presto dovranno fare i conti con la terza oceanica adunata di Piazza Tahrir. Se oltre ai fatti loro non prenderanno in considerazione anche gli interessi popolari.

L’Egitto è prossimo al default, non c’è tempo per scherzare come faceva Morsi, incapace di ottenere prestiti, di trattenere investitori, di riportare il turismo, di mediare, di dialogare, di coinvolgere. Ma i generali, lo sapranno fare?

Gli egiziani hanno voluto liberarsi di un governo inetto, di una cappa che rischiava di diventare mortale. E lo hanno fatto, ancora una volta da soli. Lecito dubitare che saranno i generali a garantire un cambiamento adeguato alle aspettative.


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