Diffamazione. Riforma o rattoppo? Che brutta aria per i giornalisti

0 0

di Alberto Spampinato  

Intenzioni buone, ma non basta cancellare il carcere. Proposte inadeguate, minimimaliste, non in sintonia con gli standard internazionali

Alla Camera dei Deputati è ripreso l’esame del progetto di legge, abbandonato nella scorsa legislatura, per riformare l’attuale normativa sulla diffamazione a mezzo stampa. Lo scopo dichiarato è quello di eliminare eccessi punitivi nei confronti dei giornalisti che, come ormai è generalmente riconosciuto, producono non solo ingiustizie nei confronti dei singoli cronisti, ma un effetto intimidatorio sui giornali e sull’intera attività giornalistica.

Le intenzioni sono buone, ma il clima è sfavorevole e l’impianto della riforma è inadeguato. Rivela un approccio minimalista, non affronta per intero il problema e non si muove in sintonia con lo spirito con cui evolvono queste materie nel resto dell’Europa e in gran parte del mondo occidentale, che marcia verso la depenalizzazione della diffamazione e verso la formulazione di strumenti legislativi in grado di proteggere attivamente la libertà di stampa e l’attività giornalistica professionale.

Come hanno ricordato, fra gli altri, autorevoli istituzioni internazionali, da ultima l’OSCE, non basta commutare la pena detentiva in una sanzione amministrativa. Non basta eliminare la responsabilità oggettiva del direttore responsabile. Non basta mettere una pezza bianca qui e un rattoppo lì per rendere moderna ed adeguata, in linea con gli standard internazionali più moderni e con la giurisprudenza dell’Alta Corte Europea una normativa arcaica concepita in tempi in cui si riteneva giusto che la libertà di stampa fosse liberata dai ceppi della censura fascista, ma allo stesso tempo, si considerava opportuno vere strumenti giuridici in gradodi tenere a freno, all’occorrenza, quella libertà di dire, di criticare, di rivelare scandali e verità nascoste. In quella Italia che usciva dalla guerra, da venti anni di dittature, che era in preda a forti passioni politiche ed ideologiche, tanta libertà fece paura. Perciò quella libertà piena fu trasformata in una sorta di libertà vigilata.

Furono i Costituenti, gli stessi che avevano formulato ed approvato nella forma più liberale l’articolo 21 della Costituzione entrata in vigore il 1 gennaio 1948, a varare quel complesso di norme frenatorie contenute nella legge sulla stampa approvata l’8 febbraio 1948. Lo fecero in extremis, prima di lasciare il campo al primo parlamento repubblicano. Il loro mandato, già più volte prorogato, scaduto il 31 gennaio, fu ulteriormente proprogato proprio per approvare, otto giorni dopo, le norme sulla stampa, in virtù delle disposizioni transitorie e finali della stessa Costituzione.

Questa modalità del varo in regime di prorogatio dice da solo quanto quella legge sulla stampa risentisse della volontà di attenuare la portata dell’articolo 21. Certamente la legge riflette più il timore che di quella libertà si possa abusare e molto meno la preoccupazione che quella libertà possa essere indebitamente ed impunemente contrastata.

Quello era il clima del ’48. E oggi qual è il clima in cui si cerca di legiferare per cambiare quelle norme? Certamente non dei più favorevoli, anzi per certi versi ancora peggiore. Ce lo dice la vicenda del Senato, dove sette mesi fa la proposta di legge nata sull’onda dell’indignazione per la condanna a 14 mesi di reclusione di Alessandro Sallusti naufragò in un mare di ostilità e di propositi vendicativi nei confronti dei giornalisti.

Un clima di ostilità e di intolleranza verso i giornalisti si respira in tutto il paese, com’è testimoniato dalle centinaia di intimidazioni e minacce e dalle innumerevoli querele pretestuose e citazioni strumentali per danni, il più delle volte infondate, che continuano a colpire ogni anno i giornalisti italiani, ai quali – bisogna saperlo – nella maggior parte dei casi non si muove l’accusa di aver pubblicato una notizia scorretta o imprecisa, ma semplicemente di aver pubblicato una determinata notizia che il querelante non gradiva fosse pubblicata.

Questo avviene e si fa un grande spreco di richiami impropri alla privacy per giustificare comportamenti che rappresentano veri e propri tentativi di censura camuffata, attuata attraverso l’abuso di strumenti processuali, di una legge sulla diffamazione che concede un chiaro ed evidente vantaggio alla parte economicamente più forte, che ben raramente è il giornalista. Alla faccia della libertà di stampe e della legge uguale per tutti, verrebbe da dire. Com’è possibile che il Parlamento non abbia finora pensato di modificare una procedura giudiziaria che consente di tenere sulla graticola per anni giornali e giornalisti in forza di accuse che – quando finalmente saranno esaminate dal giudice – saranno definite immotivate, infondate, pretestuose? Risolvere questo problema, sarebbe semplice. Basterebbe prevedere una indagine istruttoria obbligatoria. Come mai finora nessuna delle proposte di legge presentate la prevede?

Che dire? Anche in parlamento si respira da tempo un brutto clima per i giornalisti. Le inchieste sugli scandali della cosiddetta casta e le cronache impietose su Tangentopoli non sono state dimenticate e animano tentativi più o meno dichiarati di rivalsa se non proprio di vendetta. Chi propone di rendere più libera l’informazione riceve certe occhiate che dicono: ma sei matto? Si è visto chiaramente qualche mese fa, quando si provò a cancellare il carcere per risolvere il il caso Sallusti che attirava sull’Italia giudizi severissimi e una maggioranza trasversale colse l’occasione per cercare di rendere ancor più punitive le norme esistenti.

E’ difficile pensare che l’aria sia cambiata dopo le ultime elezioni. Gli attacchi di Grillo ai giornalisti rivelano cosa pensa il “nuovo” che è approdato in parlamento, quali siano le tentazioni. Tutto ciò dice che potrebbe ripetersi il gioco di quanti attendono soltanto che sia messa in gioco una palla per calciarla non a favore dei giornalisti ma in senso opposto, introducendo norme ancora più punitive.

Un’altra incognita è la strana maggioranza che sostiene il governo, Ne fa parte un Pdl che non ha mai rinunciato ai progetti punitivi esposti nel ddl sulle intercettazioni e che è facile immaginare ancor più agguerrito e vendicativo dopo la recente condanna di Berlusconi.

Dunque chi ha a cuore la libertà di stampa e una riforma vera, non una riforma sbilenca, purchessia, farà bene a tenere gli occhi ben aperti, a mobilitare fin da ora l’opinione pubblica affinché al momento giusto si possa invocare con efficacia la sospensione della partita ed essere ascoltati, come avvenne lo scorso dicembre.

Senza una mobilitazione dell’opinione pubblica, senza una campagna che faccia capire come e quanti giornalisti sono vittime di questa legge punitiva, sarà difficile spuntare una vittoria.

Non basta parlare all’orecchio del legislatore, bisogna parlare all’opinione pubblica, ai cittadini, rappresentando il problema a tutto tondo nella sua drammaticità raffigurata dai dati di Ossigeno, dall’indagine dell’Antimafia (che potete leggere nell’ebook disponibile sul sito di Ossigeno) e dalla classificazione internazionale dell’Italia fatta da Freedom House e dai richiami internazionali che si susseguono (ultimo quello dell’OCSE) che chiedono, tutti, la depenalizzazione della diffamazione, oltre alla de-carcerizzazione.

OSSIGENO


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21