Far finta di essere “insani”

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Può, l’identità sessuale, messa a dura prova dalle molte crisi in corso, farsi strumento di  lotta sindacale e riscatto esistenziale?  Dando  credito a François Veber, pimpante ed elegante commediografo francese (contemporaneo),  proviamo,  una volta tanto, ad  essere ‘buoni ottimisti’ e di costeggiare con il dovuto disincanto “L’apparenza inganna” di recente rappresentata alla Sala Umberto di Roma

Sinossi: sommessamente depresso e comunque  dotato di “nessuna qualità” (nemmeno il fascino svuotato, negletto  del personaggio  inventato  da  Musil),  François Pignon lavora da frustrato contabile per un’azienda di produzioni derivanti dal caucciù:  quindi di profilattici d’ogni tipo, colore e ‘sapore’

La sfortuna si materializza senza preamboli sotto forma di licenziamento (in tronco),   presto abbinata al divorzio dalla bella moglie (di cui è  innamorato perso e devoto)  e alla disistima che, senza troppi scrupoli, gli dedica il  figlio adolescente e acerbamente spietato.   Che l’idea di farla finita cominci a brulicare nell’animo di François è più che plausibile. Caso vuole , però,  che un suo vicino di casa,tal Felix Santini,  capita l’antifona , faccia di tutto per ridestare in Pignon l’interesse alla  vita (il ‘sale della curiosità e del desiderio’), innescando una  serie di buffi  eventi che cambieranno totalmente lo stato delle cose. Stratagemma imbattibile? Fingersi gay,  affinchè   la dirigenza  aziendale  non proceda  al licenziamento per paura di scadere nel mobbing  e aggregare, in difensiva,  le associazioni omosessuali.
L’idea, audace ma plausibile,  deflagra  su tutti i fronti e ribalta il destino dell’oscuro impiegato : in ufficio, nella società , nella vita privata, trasformandolo da minimo travet  ad acclamata icona dei  movimenti  di liberazione  sessuale (e trasversale) :  con tutte le conseguenze del caso decisamente ilari almeno sul piano del vaudeville, della pochade,della ‘perenne’ commedia degli equivoci (che condiziona la vita di noi tutti, spesso in modo doloroso anziché farsesco)

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Noto ai più per l’edizione cinematografica del 2000, (con Auteil e Depardieu sapidi protagonisti) “L’apparenza inganna”-e la relativa struttura commedistica di Francis Veber-  pagano (volentieri) pegno  alla imbattibile lezione di Neil Simon (la grande stagione delle pièce americane anni cinquanta) applicata ad uno schema di flemme e nevrosi tipicamente europee, liddove la vacuità degli ‘ambienti’ (che determinano i nostri destini) subentra  all’efficientismo frettoloso, nevrastenico del vecchio calco americano. Trovando in Maurizio Micheli e Tullio Solenghi due interpreti affiatati e di gran classe, specie nel gioco delle pause, delle controscene, del guardarsi di sottecchi

Dopo  il successo dei  già collaudati “Il rompiballe” e  “La cena  dei cretini”,  si ha la sensazione (positiva) che “L’apparenza inganna”     aderisca in misura persuasiva alle trame di una realtà che –pur paradossale- può riguardare ‘l’uomo qualunque’  ed in modo spesso irreversibile. Dando, di conseguenza, tanta modulazione  e uso di silenziatore ad un genere di comicità , ad una vocazione esilarante (si pensi  a “Il vizietto”, a “La strana coppia”) che è qui contenuta entro i limiti della modulazione recitativa e di una sorta di taglio cinematografico  basato sulla frammentarietà del racconto e sul montaggio ad incastro delle traversie a lieto fine

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L’apparenza inganna

di  Francis Veber adattamento  Tullio Solenghi e Maurizio Micheli Con  Tullio Solenghi, Maurizio Micheli,  Massimiliano Borghesi , Sandra Cavallini , Paolo Gattini , Adriano Giraldi , Fulvia Lorenzetti , Matteo Micheli,  Enzo Saturni .Scene di  Alessandro Chiti .Costumi  di Andrea Stanisci .Musiche di Massimiliano Forza  Arrangiamenti di Fabio Valdemarin . Regia  Tullio Solenghi. Prod. La Contrada e Teatro Stabile di Trieste  Roma, Sala Umberto


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