Considerazioni sparse in tema di par condicio

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Qualcuno ha scritto che l’Agcom non puó sanzionare lo squilibrio informativo (tanto per usare un eufemismo) che si é verificato in conseguenza dell’occupazione mediatica di Berlusconi nei giorni precedenti all’entrata in vigore della par condicio. Ció a causa “di un buco” nella delibera del 2006 della stessa Agcom che regolava i trenta giorni precedenti lo scioglimento delle Camere. Il buco consisterebbe nell’impossibilità di calcolare i trenta giorni essendo incerta la data di scioglimento. Non scherziamo, anche la pur lacunosa disciplina sul pluralismo dell’informazione, non consente divagazioni del genere. A prescindere che le violazioni commesse si sono verificate in un periodo in cui era noto che di lì a pochi giorni si sarebbero sciolte le Camere, la normativa sulle presenze in TV prima e durante i periodi di par condicio prevede sempre interventi e sanzioni ex post. Per questo diventano fondamentali le rilevazioni sugli spazi offerti ai vari soggetti politici. Se si manifesta uno squilibrio l’Agcom, soggetto che ha il compito di vigilare, deve intervenire con provvedimenti di riequilibrio e con le sanzioni. Dunque nessun buco se non quello del mancato intervento.

2. La Corte Costituzionale ha ritenuto legittima la legge sulla par condicio (n.28/2000) per la ragione che i pesanti obblighi imposti agli operatori televisivi si giustificavano sul piano della coerenza costituzionale (in particolare con riferimento agli artt. 21 e 42) in quanto espressione di ulteriori garanzie del procedimento elettorale. A tutti i soggetti che si candidano deve essere garantita la stessa possibilità di esprimere il proprio punto di vista. Presupposto delle norme sulla par condicio è, di conseguenza, che ci siano delle elezioni e dei candidati. Per la prima volta invece i regolamenti attuativi delle legge n. 28/2000 prevedono la sua applicazione anche a soggetti non candidati con ciò snaturandone la finalità.
3. Alcuni di quelli che gridano oggi alle violazioni della par condicio, ormai ripetute e plateali, sono gli stessi che fino a qualche settimana fa ritenevano la questione televisiva una stupidaggine del passato, cara solo a qualche attempato agit-prop. Sempre loro erano quelli che si sentivano cullati dalle premurose braccia del Governo, soprattutto in Rai, e che non vedevano l’estendersi del conflitto di interessi al di là dei confini fino ad allora conosciuti.
4. Siamo alle solite, il problema non sono tanto le norme in tema di pluralismo ma la loro applicazione. A chiacchiere tutti la chiedono in realtà a molti fa comodo che non ci sia o la si annacqui. Applicazione dunque che manca a vari livelli. Novelli moralizzatori della cosa pubblica sono i primi a farne spregio mentre le istituzioni di vigilanza passano il loro tempo a cavillare. I soliti noti invadano tutti gli spazi informativi, le new entry fanno quasi peggio. E questo sarebbe il nuovo che avanza? Con buona pace delle cosiddette forze di sinistra che hanno anch’esse degradato la questione. In inglese c’é una bella parola di cui spesso si abusa: enforcement. Vuol dire applicazione, ma la sua etimologia deriva dal termine enforce cioé far rispettare. Negli slogan elettorali per favore trovate il modo di aggiungere anche qualcosa che abbia a che vedere con il concetto di “far rispettare”.


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