2012: Annus Horribilis per la libertà d’informazione. L’informazione è un diritto umano. E’ tempo di reagire

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Ottantanove giornalisti uccisi, quarantasette attivisti dell’informazione trucidati, centonovantuno reporters imprigionati, centotrentuno attivisti in carcere. Questi i numeri duri e crudi del bilancio annuale di Reporters senza frontiere sul fronte della battaglia per la libertà d’informazione in tutto il mondo. Il 2012, cominciato con l’apertura del mondo arabo all’informazione autogestita e dal basso attraverso i social network, proseguito con la decisione dell’Europa di limitare la vendita di tecnologia di sorveglianza agli stati autoritari e l’impegno di Amnesty  a dare voce agli esclusi, si chiude con un bilancio terribile. In un solo anno sono state decine le testate giornalistiche chiuse dai regimi autoritari, sono centuplicati i controllori umani della dissidenza via Internet in Cina, Iran, Siria, Nord-Africa, sono aumentati a dismisura gli interventi censori contro singole voci di libertà.

Eppure, dovunque nel mondo la lotta per un’informazione indipendente e plurale, il rifiuto delle censure mascherate e l’affermazione di Internet come spazio pubblico di discussione e informazione aveva ottenuto buoni risultati. Dispositivi legislativi come Sopa (Stop Online Piracy Act) o Acta (Anti Couterfaiting Trade Agreement), avevano generato così tanta opposizione da indurre molti paesi – Usa ed Europa, Australia e Nuova Zelanda, ma anche Messico, Canada e Brasile – ad abbandonare iniziative che potessero mettere in pericolo un sacrosanto diritto dei cittadini: quello di fare cultura e informazione senza per questo essere considerati sospetti criminali .

Il trucco è sempre lo stesso, il tentativo di mettere davanti al “diritto di informare, informarsi ed essere informati” le esigenze del mercato, e cioè la lotta alla contraffazione, la facilitazione degli scambi commerciali, il sostegno all’iniziativa privata. Un trucco che, quando scoperto, cambia nome e si traveste da interesse generale: la tutela dei più giovani, delle minoranze, della salute pubblica, della sicurezza dello stato. Sono questi i motivi per cui in Russia Internet è diventata un recinto chiuso e in Siria o in Thailandia si continua a morire nelle prigioni del regime.

Intimidazioni e torture continuano soprattutto verso chi usa gli spazi meno controllati della rete per fare la propria informazione, in Bahrein come in Siria, in Arabia Saudita e nelle repubbliche ex-sovietiche. Ma Anonynmous – organizzazione informale di hacker e attivisti digitali – è intervenuta diffondendo un “care package”, una cassetta di “pronto soccorso digitale”  per imparare a comunicare il dissenso in maniera anonima, il gruppo Telecomix ha aperto canali di comunicazione non controllabili da Assad e dai Fratelli Musulmani e molti cooperanti in Somalia, Eritrea, Filippine e Birmania, protetti da un anonimato che si vorrebbe cancellare, continuano a lavorare come staffette con i pochi fortilizi della libera informazione in Europa. Con un alleato in più, Avaaz , che con le sue campagne online ha raggiunto decine di milioni di uomini e donne di buona volontà per un futuro migliore.

Quest’anno però verrà ricordato per la congiura dei servizi segreti inglesi e americani contro Julian Assange che con Wikileaks ha disvelato in parte, ma per sempre, i metodi inaccettabili della guerra in Iraq e Afghanistan, scuotendo alle fondamenta la diplomazia del terrore. Verrà ricordato per la censura cinese di oltre 10mila blog e per gli arresti ripetuti di Ai Wei Wei che ha denunciato la corruzione endemica del partito stato comunista, ma anche per la censura turca di Facebook .

E l’Italia? Scesa al 61° posto nella classifica per la libertà d’informazione di Reporters senza frontiere, con 315 giornalisti minacciati e sotto scorta – come denuncia Ossigeno per l’informazione -, Berlusconi che dilaga in tv e un’Autorità per le comunicazioni lotizzata dai partiti,  non è ancora riuscita a dotarsi di una misura minima di civiltà informativa come il Freedom of Information Act, e continua a galleggiare in un sistema dell’informazione asservito a banche, lobby e pubblicitari, mentre la mafia ringrazia. E’ tempo di reagire.


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