Rai, il coraggio di fare scelte, anche per il futuro dei precari a Partita IVA

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La vicenda dei contratti anomali, quelli di chi in Rai con Partita IVA lavora come se fosse, a tutti gli effetti, un dipendente subordinato, è un tema che torna all’ordine del giorno ancora una volta. E si tratta di una questione fondamentale per l’azienda. La riforma Fornero rischia di penalizzare ulteriormente questi lavoratori. Da tempio per quel che riguarda i giornalisti con contratti anomali, i reporter senza rete come li abbiamo definiti noi che abbiamo creato una delle associazioni che li raggruppa, l’Usigrai sta lavorando, insieme all’azienda, a meccanismi di sanatoria.
I casi più eclatanti, quelli che hanno visto delle violazioni che hanno portato molti di noi a svolgere evidente attività giornalistica, sono stati sanati passando per un accordo fra le parti. Altri contratti anomali, di colleghi iscritti all’albo dei professionisti ma che lavorano in azienda come assistenti, programmisti, tecnici, avranno nel prossimo mese di settembre la possibilità di arrivare ad una selezione interna che li porterà ad un contratto giornalistico e a compensare quelle pesanti carenze di organico nelle sedi regionali.

 

Certo, non basta. Ma é un segnale importante se si pensa che, fino a soli quattro anni fa, la volontà di sanare queste situazioni anomale non era evidente né per l’azienda né per il sindacato dei giornalisti Rai

 

I numeri presentati da Paolo Conti, però, sono un’autentica mannaia sul precario bilancio di un’azienda che per oltre quindici anni ha scelto di non essere azienda, di non investire, di non competere. Questo perché messa appositamente in un angolo da un conflitto di interessi che ha rischiato di farla finire nel baratro del fallimento. Rischio, questo, ancora ben lontano dall’essere superato.

Il nuovo gruppo dirigente “tecnico” che ora guida l’azienda, sebbene ancora costretto dalle pastoie politiche di un Cda che a maggioranza è ancora risultato di lottizzazione, può però scegliere di dare vita ad uno scatto d’orgoglio. Ma ci vorrebbe, faccio solo un esempio, che almeno qualcuno dei voti di fiducia messi dal Governo Monti, possa essere dedicato anche a quest’azienda. Ma si ha il coraggio di porre la fiducia su un disegno di legge che dia alla Rai una governance simile a quella di quasi tutti i Paesi europei? Ma non si deve solo cancellare la legge porcata Gasparri e liberare la Rai dai Partiti. Si deve anche rilanciare la missione di servizio pubblico e quella di azienda culturale, capace di produrre “in casa” il proprio palinsesto.

 

Se si volesse dare altri numeri partendo proprio dai bilanci della Rai, si scoprirebbe che risorse sempre più ingenti vanno a case di produzioni private per realizzare programmi che le professionalità Rai hanno direttamente in casa, nei propri archivi o che potrebbero sperimentare avvalendosi proprio di quelle figure “esterne” a Partita IVA che da decenni mettono a disposizione di quest’azienda la loro creatività e la loro capacità.

 

Dicevamo che 2000 collaboratori che lavorano con questa azienda sono una immensità. Ma se solo si tagliassero del 30% le commesse alle case di produzioni esterne, a questi “colleghi” si potrebbe assicurare un futuro meno precario.

 

Il direttore generale della Rai ha chiesto a dipendenti e collaboratori Rai di fare giungere proposte perché convinto che proprio dai consigli di donne e uomini che lavorano all’interno dell’azienda possono giungere soluzioni ai tanti problemi. Ed allora, come Reporter Senza Rete, ci sentiamo di dar lui qualche dritta.

 

E partiamo proprio dai costi per la produzione appaltata all’esterno. Solo dal 2002 al 2007, periodo in cui il debito della Rai è cresciuto in termini esorbitanti, si è passati dai 100 milioni e 759 mila euro ai 191 milioni e 160 mila euro sul capitolo inerente proprio a questi costi.

 

E, tornando alle testate regionali, il costo di appalti esterni per le produzioni dei Tg è ormai superiore ai 20 milioni di euro all’anno. In totale si tratta di 210 milioni di euro. Tagliare, in questo caso, non significa penalizzare l’azienda se si sceglie di investire sulle risorse interne e sui collaboratori storici che stanno nelle reti come registi, autori, consulenti. Ovviamente sapendo anche distinguere fra queste consulenze. Perché ve ne sono tantissime reali ed alcune fittizie che, guarda caso, poco offrono alla produttività aziendale. E stanno forse anche in quei 2000 collaboratori definiti da Paolo Conti sul Corriere.

Ma se solo, come detto, si riducessero del 30% quei 210 milioni di euro, vogliamo dire che non ci sarebbero risorse per quel mondo fertile di precariato a Partita IVA? E non sono adottabili nuove tipologie contrattuali in deroga per dare a loro un futuro meno precario?

 

Poi, sempre per puntare al risparmio, si scelga di utilizzare le risorse interne per i ruoli chiave dell’azienda. Non serve ricorrere a figure esterne per direttori di rete e di testate, come troppo spesso accaduto in passato. O farlo anche per direttori di settori strategici che possono essere ricoperti anche in questo caso da donne e uomini della Rai senza ricorrere al “mercato” esterno e, guarda caso, ai diretti concorrenti. Si badi bene, non per togliere risorse in termini di professionalità al competitor, ma per evitare – come abbiamo visto in ormai storiche intercettazioni – che la Rai cresca a discapito di qualcun altro.

 

Altra dritta. Recuperare i gioielli persi e cacciati, farli rientrare in Rai non per una ragione ideologica ma di mercato. Erano professionisti che rendevano anche se costavano.

 

E ancora: fare un giro negli uffici dei soggetti smarriti. Ovvero di tutti i professionisti epurati e messi da parte e che, dopo anni di sottoutilizzazione, hanno voglia di darsi da fare.

Poi, ancora, fare in modo che chi è giunto dopo una lungimirante carriera ad un meritato riposo con pensioni di tutto rispetto, si goda questo riposo, senza essere richiamato per forza in servizio con consulenze – quelle si – pagate a peso d’oro. O, se si vuole mettere a frutto la loro esperienza a favore dei più giovani, utilizzarli per questo affidando loro un ruolo che non sia produttivo ma di formazione.
Infine scommettere. Scommettere sui nuovi talenti, non essenzialmente nuovi per età anagrafica ma per idee. Si abbia il coraggio di innovare e di produrre cose nuove, come la Rai faceva nei suoi tempi d’oro. Perché gli sconosciuti di oggi potrebbero rappresentare il futuro di domani.
Ma queste dritte, ovviamente, non sono solo per il direttore generale, per la Presidente, per il Cda, per il Governo. Valgono anche per i sindacati che rappresentano i lavoratori e per il mio sindacato, l’Usigrai, che si appresta ad aprire la sua stagione congressuale. È questo un momento in cui serve unità di intenti, forza, carattere, idee forti e squadra compatta, in cui l’esperienza possa andare a braccetto con chi vivrà sulla propria pelle per molti anni il futuro dell’azienda. Si deve avere la capacità di aprire una nuova stagione di doveri e di diritti, di equità e solidarietà. E si deve avere l’umiltà di farlo insieme.

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