Piero Arrighi, una bella persona che ci ha lasciato troppo presto

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Cari amici di “Articolo 21”,
forse contravvengo a un suo desiderio di discrezione e di “pudicizia” di comportamento; spero che, ovunque si trova, mi voglia perdonare. Lui, Piero Arrighi, che l’altro giorno se ne è andato; e la sua compagna e moglie, la mia e nostra carissima Rita Mattei. Piero se ne  è “andato” come ha voluto: in punta di piedi; senza “disturbare” e farsi compatire, e sa il cielo se ne avrebbe avuto tutti i motivi, per il doloroso vero e proprio calvario che ha dovuto patire negli ultimi tempi. Ha fatto l’ultimo viaggio come desiderava, stretto ai suoi cari e con gli amici; ora che “riposa”, una qualche parola, un “grazie” voglio comunque cercare di dirlo.

Piero l’ho conosciuto tardi; già si era speso professionalmente, e tanto aveva dato, come cronista e come capo redattore all’agenzia “Italia”, e nei giornali a cui ha lavorato. Del suo scrupolo professionale, del suo impegno, del suo rigore, delle radicate opinioni che erano il suo patrimonio umano e culturale e che sapeva coniugare con l’impegno di “hombre vertical”, ne possono parlare i tanti che con lui hanno lavorato e vissuto; e molto meglio di quanto potrei fare io. Io posso aggiungere solo qualche ulteriore tassello, per confermare il suo essere persona straordinaria, come ben sa chi ha avuto la fortuna di conoscerlo.

C’è stato un momento, non troppo lontano, in cui sono stato davvero male, fisicamente. Un qualcosa che per qualche settimana faceva temere che ne potessi essere sopraffatto, e non più qui, oggi, a pigiare su una tastiera e cercare di comunicare quello che scrivo. Poi, quando finalmente un barlume di luce si intravedeva, uscire dal tunnel è stata cosa lunga; non particolarmente dolorosa, ma faticosa un poco; ed è servita tanta pazienza, non solo mia, anche e soprattutto da parte di chi mi stava attorno. Ecco: in quel momento, Piero che a malapena conoscevo, e Rita, mia straordinaria collega al “TG2”, sono stati per me come un fratello maggiore e la sorella che non ho. Con pochi altri colleghi (ne cito alcuni per tutti: il mio direttore Marcello Masi, il mio vecchio capo cronaca Raffaele Genah, Luciano Onder, Antonio Giagni, Rodolfo Ruocco), Piero quasi tutti i giorni era in ospedale: per dire una parola ai miei cari, stralunati; per vedere cosa c’era da fare, anche il portare una bottiglietta d’acqua minerale, e svitarne il tappo: che le mie mani non avevano la forza sufficiente per farlo.

Lui e Rita sono diventati parte della “mia” famiglia; e anche dopo…Chiedo scusa a tutti voi che leggete, per questo mio indulgere su cose personali, ma credo aiutino a capire la persona: mesi dopo, quella che ormai è una banale operazione agli occhi, la cataratta. Ebbene, ha voluto a tutti i costi accompagnarmi lui, in clinica; ha atteso il tempo dell’operazione; non si è limitato ad accompagnarmi a casa, ha voluto mangiare con me, per sincerarsi che lo facessi, e poi il giorno successivo, per la visita di controllo. “Smettila di farmi da badante!”, gli ho detto scherzoso ad un certo punto… “Piccole” cose, se si vuole, ma gesti che porterò sempre con me, non dimenticherò mai.  Abbiamo parlato molto, in quelle ore, in quei giorni; senz’altro aveva più lui da raccontare di me; voglio dire: sapeva ascoltare. Anche questo dà l’idea della persona.

Aveva un grande cuore, Piero; ed era un gran signore. A Rita, la sua straordinaria compagna, e a tutti i congiunti di Piero, ai suoi amici, vorrei dire qualche cosa che abbia un senso, un significato. Purtroppo non c’è senso, non c’è significato; o almeno io non riesco a trovarli: so solo smozzicare qualche parola, per dire che Piero è stata una bella persona; e che abbiamo avuto una grande fortuna, noi che l’abbiamo conosciuto e frequentato. Mi fermo qui, perché è come se sentissi Piero che mi dice: “Falla finita di scrivere sciocchezze, ho solo fatto quello che doveva essere fatto e che bisognava fare”. Appunto: faceva quello che si doveva e bisognava fare. Con garbo, amicizia, intelligenza… Scusate se è poco. Ciao, Piero.


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