La fine delle “larghe pretese”

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Questa legislatura è iniziata molto male e rischia di finire peggio. Da ieri siamo infatti tornati al punto di partenza, affaticati da ulteriori cinque mesi di estenuanti mediazioni, spesso assai deludenti per il centrosinistra (emblematico il caso dell’IMU e, a livello parlamentare, quello dell’omofobia). Nonostante il PD abbia concesso molto, anzi troppo, al PdL, non è arrivato a “salvare” il suo leader dalla decadenza. In realtà, sembra che qualcuno un pensierino ce l’abbia fatto, ma i vari escamotage proposti mostrano forti difficoltà a stare in piedi da un punto di vista giuridico e comunque non servivano a superare l’alternativa per cui o decadeva il leader del PdL o decadeva – e per sempre – il PD, i cui elettori sono già assai provati.

Così ieri – dopo due giorni di minacciate dimissioni dei parlamentari, poco realistiche, difficilmente praticabili e forse praticamente inutili – si sono dimessi i cinque ministri del PdL. Si apre così, dopo soli cinque mesi, la crisi del Governo delle “larghe pretese”. L’alleanza tra PD e PdL, infatti, sembrava impossibile fino al giorno in cui è stata siglata, ma certamente lasciava ancora più stupefatti l’amplissima base su cui l’ambizioso programma di Governo la faceva poggiare. Si arrivava addirittura a proporre – in diciotto mesi – la riforma dell’intera seconda parte della Costituzione, oltre ad importanti interventi economici, spesso già infrantisi sullo scoglio della divaricazione politica che esiste tra i due principali alleati di Governo.

A fronte della crisi, si tratta di capire se nuove elezioni siano l’unica strada o se – come auspicabile – non si possano sostituire le larghe pretese con una minima intesa, per approvare la legge di stabilità (mirata all’equità e allo sviluppo) ed una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini una reale capacità di scelta dei propri rappresentanti senza condannarli a Governi di impossibili larghe intese.

La nuova legge elettorale – per portarci al voto in primavera – dovrebbe consentire la formazione di un Governo stabile e coeso, capace di compiere scelte chiare e coraggiose, e ricostruire il rapporto tra elettori ed eletti. Ciò si realizza certamente con un sistema maggioritario basato sul collegio uninominale. Un sistema come questo può poi prevedere diverse varianti, ma per chiudere la partita in tempi rapidi la cosa più agevole sarebbe riprendere la legge elettorale precedente, il mattarellum, magari depurandolo di alcuni inconvenienti come lo scorporo, il che potrebbe avvenire utilizzando, per entrambe le Camere, il sistema allora previsto solo per il Senato. Si segnala in proposito che sono state presentate in Parlamento almeno sei proposte, da parlamentari di gruppi diversi (una perfino da Calderoli!), per tornare al mattarellum. Forse è il momento di darvi seguito, se si vuole evitare che le prossime elezioni vedano una partecipazione popolare ancor più limitata e un risultato forse ancor più confuso di quello del febbraio 2013. Certamente gli elettori confidano nel fatto che anche in Parlamento vi sia un’”Italia perbene” – come ha detto ieri Civati – in grado di restituire loro una vera capacità di scelta degli eletti.


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