Rai, un’azienda vecchia priva di ossigeno

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Non si può negare al governo Monti una grande capacità di innovazione,  soprattutto nei comportamenti pubblici e privati. Ma non si può contemporaneamente tacere la sostanziale inerzia sui grandi temi della libertà dell’informazione, rimasta in Italia allo stesso allarmante basso livello di un anno fa, quanto tutte le classifiche ci collocavano in coda ai Paesi democratici.
Tralascio il tema della riforma dell’Ordine, chiesta a gran voce dai giornalisti da decenni, e oggi più che mai. Ma come si fa a ignorare lo stato di degrado della più grande azienda editoriale, la Rai, quella che nel bene e nel male ha segnato le tappe della crescita e degli sbandamenti della società italiana?  Ebbene, la Rai invecchia e deperisce anche nelle essenziali tecnologie produttive (computer, telecamere, frequenze, per non parlare dell’ agognata digitalizzazione) mentre nulla è cambiato sul fronte del poderoso conflitto di interessi berlusconiano. Ieri presidente del Consiglio, oggi detentore del pacchetto di maggioranza relativa dei voti in Parlamento, il proprietario di Mediaset continua a esercitare attraverso il suo sistema di potere un forte controllo anche sulle reti radiotelevisive. Nulla, proprio nulla è cambiato anche se nell’azienda pubblica sono approdati amministratori di grande livello professionale.

L’Italia resta dunque un Paese arretrato sul fronte della democrazia dell’informazione, e la Rai un’azienda vecchia priva di ossigeno, priva persino di mezzi e tecnologie adeguati a reggere la sfida con Mediaset ma anche con La 7 , e soprattutto con Sky, non nuova realtà emersa sul satellite dopo gli anni del duopolio

C’è da augurarsi che l’idea di fare della Rai una sorta di Cnn, sfondando sull’all news,  riesca finalmente a decollare nell’era Tarantola-Gubitosi. Ma intanto l’aziende deperisce, persino i radiogiornali sono sempre meno frequenti, per non parlare di telegiornali che restano paludati e esageratamente sensibili alle esigenze del palazzo. La Rai invece può, e deve, riappropriarsi del suo ruolo di servizio pubblico, capace nei decenni passati di promuovere cultura e partecipazione dei cittadini e ridotta invece oggi a confermare le paure di Pierpaolo Pasolini sugli effetti negativi dell’appiattimento a valori negativi, soprattutto, ma non solo, per quanto riguarda l’immagine e il ruolo della donna.

Fa piacere che sia superata l’era Masi come quella Lei (anche se turba il ripescaggio in Sipra di una dirigente palesemente non all’altezza del compito) , ma ancora non sono state rimosse pesanti conseguenze di vecchie gestioni: fra le tante l’ emarginazione di giornaliste e giornalisti di grandi capacità professionali cacciati o oscurati in nome del potere politico-mediatico del “sire” di turno. E anche sul fronte dei programmi mancano all’appello protagonisti del mondo della cultura e dello spettacolo.

La speranza è che i nuovi amministratori mettano in moto, dopo gli anni bui del recente passato (non dimentichiamoci mai gli editti bulgari oggi che leviamo alte grida contro la condanna di Sallusti), un vero e proprio  proprio Rinascimento di una Rai da rifondare e rilanciare. Fra i giornalisti, molti arrivati finalmente per concorso, tanti dalle scuole volute con forza dall’Ordine, ci sono grandi risorse e professionalità, a Roma e Milano così come nelle sedi  estere e in quelle regionali giustamente valorizzate e da valorizzare. E’ tempo di dar loro lo spazio per emergere e crescere, anche con una formazione permanente della quale si sente il bisogno,  soprattutto se si pensa che nell’era della Rete ben poco è stato fatto per adeguare l’azienda alle nuove tecnologie e ai nuovi mercati. Non c’è però tempo da perdere. Occorre fare in fretta per garantire al  Paese un servizio pubblico che assomigli almeno al sogno dei giornalisti: i fatti separati dalle opinioni, una Rai che si avvicini alla Bbc, indipendente, autonoma dal potere politico dove i più bravi, i più capaci e meritevoli facciano strada senza passare per segreterie dei partiti o festicciole in Palazzi privati affittati ai satrapi di turno.

* Segretario dell’Ordine dei giornalisti


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