Al primo turno delle elezioni presidenziali romene di domenica 4 maggio ha vinto il leader del partito ultranazionalista AUR George Simion con oltre il 40% di preferenze. Il ballottaggio del prossimo 18 maggio metterà la Romania di fronte ad una prova cruciale.
Cinque mesi dopo l’annullamento delle elezioni, i romeni sono tornati alle urne per scegliere il prossimo presidente della Repubblica. Lo hanno fatto in un clima teso, segnato da fratture sociali profonde, una crisi economica in corso, e un’evidente polarizzazione politica.
Durante il voto, i siti web governativi sono stati presi di mira da attacchi informatici da parte di hacker russi. Le autorità romene hanno confermato l’attacco, rivendicato ufficialmente dal gruppo NoName057. A vincere il primo turno delle elezioni presidenziali di domenica 4 maggio è stato George Simion, 38 anni, leader del partito ultranazionalista AUR (Alleanza per l’Unione dei Romeni). Populista della nuova destra romena, Simion è anche un fan dichiarato di Donald Trump ed è riuscito a fare del sovranismo e dell’euroscetticismo la sua bandiera. È vicepresidente del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei dal gennaio 2025. Al ballottaggio del 18 maggio sfiderà Nicușor Dan (55 anni), sindaco centrista di Bucarest.
Alla luce degli ultimi eventi politici, la Romania si è presentata come uno dei paesi più instabili dell’Europa Orientale. Un paese diviso, dove le tensioni tra pro-europei e nazionalisti si intrecciano con ferite sociali aperte: la corruzione dilagante, la povertà, l’emigrazione di massa, la sfiducia verso le istituzioni.
Le elezioni presidenziali romene hanno attirato l’attenzione internazionale sia di Bruxelles che di Washington. Osservatori internazionali dell’OSCE ma anche dagli USA hanno seguito il processo elettorale in un contesto in cui la Romania è un membro dell’UE e della NATO, con un ruolo strategico sul fianco orientale.
Da mesi il paese sembra essersi trasformato in un laboratorio politico instabile, un campo di battaglia tra discorsi ultranazionalisti e quelli europeisti, mentre al confine continua la guerra in Ucraina.
George Simion ha saputo sfruttare il vuoto lasciato dall’esclusione di Călin Georgescu, il candidato della destra radicale sospettato di contatti con la Russia (ma allo stesso tempo appoggiato anche da Washington). Simion gode anche di un importante appoggio da parte dei romeni all’estero (al primo turno delle elezioni presidenziali ha ottenuto 489.921 voti – 59,57% – nella diaspora).
Se vincerà, promette di nominare Georgescu primo ministro. D’altronde, Georgescu si è presentato ieri al voto insieme a Simion, con l’obiettivo di rassicurare l’elettorato che tra i due politici c’è una buona collaborazione.
Nella sua prima intervista dopo gli exit poll, George Simion ha dichiarato al Financial Times che “in una democrazia bisogna che sia il popolo a decidere”. Poi, Simion ha spiegato come nominerà Călin Georgescu primo ministro: “Come presidente posso cambiare i membri della Corte Costituzionale, i membri dei servizi segreti, in modo da garantire elezioni eque e posso fare da mediatore per trovare la maggioranza in Parlamento. Ecco come possiamo pensare di averlo come… primo ministro”, ha spiegato il leader dell’AUR.
Simion si oppone al sostegno militare all’Ucraina, critica apertamente la leadership dell’UE e ha espresso il suo sostegno al movimento “Make America Great Again” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. È un conservatore cristiano, noto per il suo sostegno al referendum del 2018 che mirava a vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Vuole l’introduzione del servizio di leva obbligatorio e la costituzione di tribunali popolari.
Secondo la Reuters, l’eventuale vittoria di Simion al ballottaggio potrebbe isolare la Romania a livello internazionale, ridurre la sua attrattiva per gli investimenti esteri e creare incertezza all’interno della NATO, soprattutto per quanto riguarda il sostegno all’Ucraina, il che potrebbe dare alla Russia un vantaggio strategico nel contesto della guerra.
Il crescente sostegno a George Simion è frutto di una profonda insoddisfazione degli elettori nei confronti dei partiti tradizionali.
Dall’altra parte, anche il risultato di Nicusor Dan (20,74%) sindaco di Bucarest, che riesce da indipendente ad andare al ballottaggio raccogliendo più voti del liberale Crin Antonescu (candidato della coalizione al governo tra i social democratici e i liberali) significa sempre un voto anti establishment.
Ad opporsi a Simion al ballottaggio ci sarà, quindi, Nicușor Dan, sindaco di Bucarest. Matematico, con studi anche Parigi, attivista ha costruito la sua carriera opponendosi alla speculazione edilizia nella capitale. Nicușor Dan ha ringraziato i suoi elettori, compresi quelli che hanno votato per gli altri candidati, “perché si trattava di un processo democratico di cui la Romania aveva bisogno”.
“Ringrazio in modo particolare i romeni della Repubblica di Moldova, dove abbiamo vinto con oltre il 50%”, ha ricordato. Secondo Dan, “seguirà un secondo turno difficile. Non sarà un dibattito tra individui, ma un dibattito tra una direzione filo-occidentale per la Romania e una anti-occidentale, questo sarà l’obiettivo del secondo turno. Il nostro compito è convincere i romeni che la Romania ha bisogno di una direzione filo-occidentale ed è su questo che si baserà la nostra campagna nelle prossime due settimane”.
Un appoggio per Dan arriva anche dagli intellettuali romeni. Tra loro, Ana Blandiana, poetessa simbolo della resistenza anti-comunista. In un post su Facebook ha spiegato perché voterà Dan: “È l’unica scelta decente e logica. Un uomo onesto in un mare di figure tossiche e compromesse”. Ma la partita resta aperta, perché il successo di Simion è anche conseguenza di un disagio reale. Il suo elettorato è trasversale: giovani disillusi, pensionati, piccoli imprenditori colpiti dalla crisi. Dietro l’adesione al populismo si nasconde una domanda inascoltata di giustizia sociale, di equità, di riscatto. Gli analisti spiegano che i principali responsabili dell’ascesa della destra nazionalista sono proprio i politici al potere. Il ballottaggio del 18 maggio sarà una prova cruciale. La Romania si trova davanti a un bivio: scegliere se rimanere ancorata all’asse europeo oppure intraprendere una via sovranista ed euroscettica.
Da https://www.balcanicaucaso.org/