Nel giorno in cui la Russia festeggia l’ottantesimo anniversario della vittoria in quella che, a Mosca, chiamano la “Grande guerra patriottica” e allindomani dellascesa al soglio di Pietro del primo Papa americano (Robert Francis Prevost, Leone XIV), Ezio Mauro, ex direttore di Repubblica e autore del saggio “La mummia di Lenin” (Feltrinelli), in virtù di una lunga esperienza professionale a quelle latitudini, analizza da par suo alcuni dettagli essenziali per comprendere l’oggi. Cosa è rimasto della figura di Lenin nella Russia contemporanea? Perché il suo corpo ha avuto un ruolo così essenziale sia da vivo che da morto? Perché neanche Putin può esimersi dal fare i conti con la sua memoria e la sua eredità? Una possibile risposta risiede nel fatto che, nel vuoto contemporaneo delle visioni e delle ideologie, la mistica del mausoleo di Lenin sulla piazza Rossa, per giunta contrapposta all’immagine, per i russi terribile, della bandiera dell’Unione Sovietica ammainata il giorno di Natale del ’91, abbia tuttora un fascino particolare. Profuma, infatti, di rivoluzione, di riscossa e di speranza, al punto da riuscire a oscurare anche le nefandezze che la parabola di quell’impero sconfitto reca con sé. Trentaquattro anni dopo, il mito dell’URSS è ancora lì, al pari di uno dei suoi massimi protagonisti, di cui lo scorso anno si è celebrato il centenario della scomparsa.
Abbiamo amato molto la definizione hobsbawmiana di “Secolo breve”, ma forse l’insigne storico marxista, per una volta, ha avuto torto. Il Novecento, difatti, non è mai finito ed è impossibile da archiviare per un successore in cui il corpo del capo, persino in Vaticano, sembra prevalere sulle idee, almeno in politica quasi globalmente assenti.