Aldo Tortorella era uno dei ragazzi che avevano diciott’anni quando furono chiamati a compiere quella che Amendola definiva “una scelta di vita”: abbracciare la Resistenza e il PCI, dedicare la vita al prossimo, agli ultimi, agli esclusi, al riscatto e alla rigenerazione morale della Patria. Patria sì, perché i patrioti veri erano i partigiani, non i criminali nazisti e i loro complici fascisti. E Aldo partigiano lo è rimasto per tutta la vita. Un’esistenza lunga e meravigliosa, conclusasi stanotte all’età di novantotto anni. Il racconto di un secolo camminava sulle gambe e nel cuore di una persona integerrima, dotata di un’umanità rara, di una dolcezza squisita, di una profondità di pensiero unica e di una modernità da far invidia a moltissimi giovani.
Non starò qui a ricordare la biografia del compagno “Alessio”, il suo nome di battaglia: direttore dell’Unità dal ’70 al ’75, braccio destro e protagonista di primo piano della stagione berlingueriana, punto di riferimento per la sinistra in molteplici stagioni, mai lontano dalla lotta, dalla passione politica e civile, dall’impegno collettivo in nome di una società migliore.
Voglio raccontarvi, piuttosto, il mio Aldo Tortorella, l’uomo che ho conosciuto quando aveva già quasi novant’anni e ancora guardava al domani, contentissimo di vedere dei giovani pronti ad abbracciare i valori che erano stati la sua vita e la sua ragione di esistere.
L’ultima volta che l’ho sentito al telefono, per una breve intervista, è stata qualche mese fa. Gli chiesi di raccontarmi il suo incontro con Luigi Longo e me ne parlò con una lucidità incredibile, rievocando fatti di otto decenni fa come se fossero accaduti ieri. Longo, il partigiano che aveva combattuto a Guadalajara, il reduce della Guerra di Spagna, il futuro segretario del PCI, che lo notò e seppe valorizzarlo a dovere, tanto che non ancora ventenne si ritrovò a ricoprire ruoli di primo piano nella lotta di Liberazione e nel partito, come direttore del dorso genovese dell’Unità.
Non a caso, alla vigilia della mia inchiesta sui fatti del G8 di Genova, fu una delle prime persone con cui volli condividere questa decisione e ricordo ancora i suoi occhi: Aldo tifava Sampdoria “perché io a Genova sono stato partigiano!”, pertanto mi assecondò con una gioia bambina. Un libro di storia, come detto, sempre al passo coi tempi, disponibile a narrare, a spiegare, a ragionare insieme alle nuove generazioni, curioso come un ventenne, lui che aveva incontrato tutti i grandi della politica italiana e ne era stato a sua volta un esponente di primo piano.
Un’altra volta, al termine di una riunione, ci rimproverò bonariamente: “Ma che compagni siete se non condividete nemmeno un aperitivo!”. Così, ci ritrovammo a fare un aperitivo con un uomo che aveva superato i novanta ma si ostinava a ricordarci che essere compagni significa condividere lo stesso pane, dunque stare insieme, andare al di là dei meri aspetti formali. Del resto, una mattina, durante una riunione, un’altra persona eccezionale affermò che il suo sogno per il 2 giugno era che ciascuno portasse qualcosa e ci si ritrovasse a festeggiare facendo un pic-nic su un prato. Era la compagna Lidia Menapace, scomparsa qualche anno fa, anche lei icona della Resistenza e custode di quella tradizione per la quale non si può essere compagne e compagni se non si condivide qualcosa di più della mera appartenenza politica, se prima non ci si vuole veramente bene.
E come dimenticare la volta che venne ospite all’Emiciclo, la trasmissione che conduco online, insieme a Luciana Castellina, per raccontare un secolo di PCI e rendere omaggio a Emanuele Macaluso? Macaluso era un suo oppositore interno, in quanto migliorista, eppure gli riservò un ricordo di una potenza emotiva commovente, a dimostrazione di cosa fossero i partiti di un tempo e di quale tensione ideale li caratterizzasse.
Fino all’ultimo, è stato al timone di “Critica Marxista”, partecipando e accompagnando con entusiasmo le evoluzioni dell’ARS, l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra che aveva fondato nel ’98 insieme a Beppe Chiarante. Scrivo, in conclusione, da piccolo dirigente di quest’associazione, nella quale mi ha voluto Vincenzo Vita e alla quale ho scelto di consacrare una parte del mio impegno civico, come militante di un’idea, prim’ancora che di un partito, di cui oggi avverto più che mai il bisogno.
Negli ultimi anni, non ha mai smesso di ricordarci quanto sia importante, se si è di sinistra, prendersi cura della povera gente, senza la quale la sinistra semplicemente non è. E combattere il trumpismo, la deriva mondiale in atto, i vecchi e i nuovi nazionalismi, il sovranismo e il degrado etico che è sotto gli occhi di chiunque, ponendo al centro di ogni riflessione la parola “pace”. Del resto, Aldo sotto una dittatura c’era nato, quella dittatura contribuì a debellarla e alla democrazia e all’attuazione dell Costituzione ha dedicato l’intera vita.
Compagno “Alessio”, un commosso addio. Continua a starci vicino mentre tutto crolla e il pensiero progressista sembra essere afono.
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