Barbiana, la madre delle scuole popolari

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La rivoluzione sociale e didattica che don Lorenzo Milani ideò e sperimentò nell’eremo di Barbiana nel quale era stato esiliato dalle autorità religiose, anche con sollievo da parte di ufficialità istituzionali che mal sopportavano quel sacerdote così fuori dagli schemi tradizionali, ci mise poco ad estendersi a macchia d’olio.
Studenti, insegnanti, operatori sociali che erano coscienti della necessità che la scuola si liberasse di tutte le scorie classiste che allontanavano soprattutto i ceti popolari dalla conclusione dei cicli di studio, si impadronirono avidamente di quel formidabile documento che fu Lettera ad una professoressa e cercarono di metterne in atto analisi, consigli, suggerimenti. Soprattutto sul piano della didattica, del coinvolgimento diretto dei discenti nei processi di apprendimento.
La durissima, spietata analisi di come un certo tipo di scuola determinasse più esclusioni che inclusioni, non riguardò solo la scuola contemporanea, ma anche, e soprattutto, i livelli di studio dei decenni precedenti, quando masse di contadini, operai, artigiani furono costretti ad abbandonare i banchi di scuola.
Così negli anni finali della formidabile stagione della contestazione studentesca, chi quell’esperienza aveva affrontato con l’unico, forte impegno a dare un contributo per migliorare la condizione umana e sociale delle comunità nelle quali era inserito, trovò entusiasmante prendere a modello l’esperienza della scuola di Barbiana e la didattica di don Lorenzo per indirizzarle verso quel mondo del lavoro che, senza titoli di studio, era escluso da carriere e occupazioni dignitose.
Le vere figlie della scuola di Barbiana divennero quindi le scuole popolari dei lavoratori adulti. A Cagliari il primo nucleo di questi giovani pronti a mettersi a disposizione si organizzò, nell’ottobre del 1971, all’interno di una parrocchia, quella di Sant’Eusebio, nel quartiere di Is Mirrionis. Erano in 27 e suddivisero in 13 corsi i 52 lavoratori che decisero di frequentare. Incontri-lezioni dal lunedì a venerdì dalle 21.00 alle 23. Si presentarono in 29 come privatisti agli esami ufficiali della scuola media. Venticinque la ottennero, agli altri quattro concessero la licenza elementare.
Già l’anno successivo il parroco, preoccupato e spaventato dai contenuti di quella scuola, così diversi dal nozionismo, non concesse più la disponibilità dei locali. La difficoltà inattesa non fermò il nucleo di volontari che anzi si ampliò e diversificò, ponendo come punto centrale della riflessione sugli interventi un ribaltamento dell’azione didattica, che partisse sempre e comunque dagli interessi dei discenti – e dal loro prevalente parlato, il sardo – per poi introdurre con intelligenza storia, letteratura, italiano, lingua straniera, matematica e le altre materie.
Ai cattolici si aggiunsero extraparlamentari, laici, agnostici che trovarono nel comune obiettivo di rendersi utili ragioni per rinunciare a qualunque tipo di pregiudizio ideologico.
Nel secondo anno di attività nacque quindi la vera e propria Scuola popolare di Is Mirrionis che si organizzò, come sede, nei locali dell’ex centro sociale dell’ISSCAL. Si iscrissero per la frequenza 73 lavoratori, suddivisi in cinque corsi nei quali operammo in 54 come ‘docenti’, 45 dei quali studenti universitari, cinque insegnanti in scuole ufficiali.
La stessa scuola media che al termine del primo anno non aveva fatto difficoltà a far accedere i lavoratori all’esame di licenza, nel 1973 accampò scuse e fece sì che la cinquantina di lavoratori che si presentarono vennero dirottati in altre due scuole. Una strage: trenta bocciati, 24 licenziati.
Da quella brutta esperienza nacque la necessità che si avviasse una battaglia per ottenere commissioni speciali per i candidati adulti. Non si poteva accettare l’idea che venissero esaminati come i bambini al termine del triennio. La battaglia ottenne successo, anche perché si costituì la federazione della scuole popolari della Sardegna, contemporaneamente all’avvio della lotta sindacale per le 150 ore. Al termine dei cinque anni di attività, grazie alla Scuola popolare di Is Mirrionis circa 300 adulti che erano stati esclusi dagli studi ‘regolari’ ottennero la licenza media.
Va quindi attribuita proprio alla Scuola di Barbiana la maternità non solo di un modo diverso di intendere studio, risultati, conoscenza, ma anche la possibilità data a tanti lavoratori di migliorare la propria condizione economica, lavorativa, sociale grazie al titolo di studio conseguito quando ormai, da anni, ci avevano rinunciato.
Don Lorenzo non fece purtroppo in tempo ad essere testimone di questa rivoluzione culturale di cui fu profeta. Morì troppo presto, nel 1967, prima che la sua predicazione evangelica trovasse applicazione pratica in mondi, culture, aree geografiche così lontani dal suo eremo. Oggi, nel centenario della nascita, è doveroso ricordarlo anche così.
(Foto tratta dal sito della Fondazione don Lorenzo Milani)


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