I tempi lunghi della storia e pure della par condicio

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Lo scorso 21 luglio il Consiglio di stato ha rigettato il ricorso dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in merito ad una vicenda che risale al 2009. L’azione si era resa necessaria per l’Agcom dopo che il tribunale amministrativo del Lazio (TAR) aveva annullato la sanzione comminata dalla stessa Autorità contro l’emittente di punta del verbo berlusconiano, Rete 4. Quest’ultima aveva squilibrato, secondo i monitoraggi elettorali,  misure e proporzioni della presenza del governo.

Fu comminata alla società R.T.I. (Mediaset) una sanzione amministrativa di 180.000 euro ai sensi dell’art.1, comma 31, della legge 249 del 1997. Quella normativa assegnava rilevanti e diretti poteri di intervento all’Autorità, indipendentemente dai ricorsi di parte. Fu, così, rilevata una significativa infrazione in un delicato periodo elettorale.

Con delibera n.85/09/CSP del 22 maggio 2009 fu ordinato il cosiddetto riequilibrio, ovvero la pena principale, visto che il vero risarcimento per coloro che sono vittime di discriminazioni è la possibilità di recuperare subito il tempo perduto.

Il ricorso da parte di R.T.I. presso la giustizia amministrativa fu, ovviamente, subitaneo.

Del resto, per chi ha messo il naso negli anni in simili vicende due elementi ricorrono in modo seriale: Rete 4 è pressoché sempre sul banco degli imputati; il TAR è costantemente riferimento delle contestazioni. La testata -guidata per lustri interi da Emilio Fede- fu considerata da più parti eccedente al tempo della regolamentazione delle frequenze, secondo una corretta lettura della giurisprudenza costituzionale. Ma Berlusconi e il gruppo dirigente a lui vicino fecero le barricate per difendere un veicolo straordinario di spot pubblicitari e di telepromozioni, nonché un perfetto megafono propagandistico.

Ed eccoci alla lunga telenovela.

Il TAR accolse il ricorso del biscione, con motivazioni alquanto opinabili, riguardanti le modalità della contestazione dell’infrazione.

Naturalmente, l’Agcom fece ricorso, rivolgendosi al Consiglio di stato. Siamo al 2021, quando la memoria degli eventi è ormai roba da teche e da studi specialistici.

Infine, proprio lo scorso 21 luglio arriva il verdetto finale: l’Autorità si vede respinte la proprie motivazioni volte a riaffermare il rispetto della par condicio. Rete 4 ancora una volta esce indenne dal contenzioso.

Sarebbe una storia di banale riconferma dell’abilità dell’impero di Berlusconi nel districarsi nelle questioni giudiziarie, se non si aggiungesse la variabile del tempo. Insomma, in un universo mediale che corre alla velocità digitale, una contesa che staziona nei tribunali per tredici anni è di per sé un aspetto inquietante della situazione.

È vero che nel 2001 la illecita dichiarazione di voto pronunciata da Mike Bongiorno ed altri notissimi personaggi del video alla vigilia del voto politico del 2001 finì in un niente di fatto. Ricorsi al TAR accolti e così via. L’elenco è lungo ed articolato. Ma la reiterazione di simili svolgimenti impone una riflessione definitiva.

Esiste più la possibilità di imporre il rispetto di una legge, tuttora in vigore e mai abrogata, come la par condicio del  febbraio 2000?

Se nell’epoca dell’istantaneità e della ridondanza formale delle fonti emittenti non si è in grado di correggere  manipolazioni plateali e persino esibite, allora è urgente che l’Agcom si decida ad inviare una specifica segnalazione al parlamento, suggerendo di tornare a regolare una materia sfuggita di mano: sia nelle componenti classiche della radiodiffusione, sia in quelle insidiosissime dei social.

Non è credibile, tra l’altro, che il monitoraggio sulle presenze politiche in radio e in televisione sia affidato sempre alla stessa società da anni, e abbia cadenze da società pre-analogica.

Chissà se le nuove camere avranno la volontà di occuparsi di tali tematiche, che sembrano amaramente scese di graduatoria negli interessi politici.

Eppure, la strisciata oraria dei talk aumenta di quantità e i drammi della guerra, nonché le diverse emergenze invocherebbero una società dell’informazione democratica e plurale.


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