Palazzo Chigi e Colle la difficile coabitazione

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D’un tratto, una strana sensazione, un bagliore inquietante proietta fasci di luce intermittenti e contrastanti sul nostro governo. Da un lato l’immagine allegra, gioiosa, colorata, amabile, socievole, infantile e perfino ammiccante, rassicurante, a momenti quasi commovente, del capo del nostro governo che incontra i Grandi del mondo. Immagine già esibita qualche giorno prima con Mario Draghi e con Sergio Mattarella. L’atteggiamento quasi affettuoso, protettivo di questi, gli uni e gli altri, quasi incontrassero una bambina prodigio. Dall’altro, un miscuglio oramai ricorrente di gesti di segno opposto, che assommano imperizia, sicumera, incoscienza, di sempre più numerosi esponenti di governo ai vari livelli. Dislivelli. Fino a toccare l’intoccabile, i dolori e le angosce della pandemia, a non rispettarli. Gesti mai frenati, mai aggiustati, se non con fastidio in chi li rileva, mai per chi li commette, sempre con disinteresse. Gesti lasciati convivere con quella immagine rassicurante.

E infine, quasi una ciliegina amara sulla torta, il doppio sigillo: il rimbecco del presidente del Senato, quasi un vicepresidente di questa Repubblica, la sua diffida al capo dello Stato a non immischiarsi nelle gaffe e nei gestacci del nostro governo, a difenderlo e basta. Ad aiutarlo e basta. E il silenzio su tutto ciò di Giorgia Meloni, il suo doppio registro a ricambio istantaneo, dal sorriso ingenuo con i Grandi del mondo, al timbro duro e intimidatorio che conosciamo. L’insieme, produce il bagliore di un cupo presagio: quasi che, consumato il credito prestigioso del predecessore alla guida del governo, a valersi a tutte le latitudini e con tutti gli interlocutori, rientri nel dovere d’ufficio del nostro Capo dello Stato quello di spendere la moneta del suo prestigio in tutte le sedi e occasioni per aggiustare le scempiaggini che si moltiplicano, ma che non se ne debba parlare troppo. Un atto dovuto, e basta, un sospetto, per il momento, quasi un bagliore che viene e va. Quando scompare, quasi ci si pente, si vorrebbe non averlo intravisto.

Quel bagliore inquietante, quasi una lama. Ma poi, a riaccenderlo, ricordi e pensieri. Che il nostro capo del governo non abbia timori reverenziali verso il simbolo di massima rappresentanza della nostra nazione, lo ha dimostrato con almeno un gesto istituzionalmente duro e impietoso, il pensiero scarsamente patriottico di un tradimento della Costituzione da lui incarnata. Mai revocato, spiegato, mai il segno di un pentimento, un’autocritica. Il gesto del rifiuto di unirsi all’invocazione di un secondo mandato. Ma ancora di più, quello che su queste colonne Marcello Sorgi ha definito uno sgarbo mai visto, dall’autorità istituzionale che viene subito dopo il presidente della nostra Repubblica, nella gerarchia della rappresentanza. Un gesto sgraziato, o un esempio, la sostituzione di una gerarchia politica a quella istituzionale e costituzionale?  montesquieu.tn@gmail.com


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