L’Europa respinge il ricorso dei poliziotti condannati per la Diaz. Un ricorso doppiamente disonorevole

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Chi si ricorda i nomi dei poliziotti e dei dirigenti di polizia violenti della Diaz? Pochi. La strategia dell’inabissamento ha funzionato: dopo una ramanzina e qualche euro di sanzione disciplinare sono tutti tornati al loro posto, alcuni promossi, anche ad alti livelli. Il loro ultimo tentativo di rifarsi una verginità è stato però bloccato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha considerato irricevibile il loro ricorso. In estrema sintesi – e semplificando un po’ – la CEDU ha detto che non era necessario, come chiedevano i ricorrenti, dover interrogare nuovamente i testimoni nel processo d’appello.

Fatto salvo che tutti hanno diritto a rivolgersi al CEDU è grottesco che siano i “violenti” a farlo e non i “violentati”. Ma c’è qualcosa di decisamente più grave, spregiudicato, irrispettoso: i ricorrenti erano tutti dirigenti di polizia. Gente come Gilberto Caldarozzi che ha finito la carriera da vicedirettore della DIA; o come Salvatore Gava, uno dei due falsari della molotov diventato vicequestore nel periodo in cui al Viminale c’era l’attuale sottosegretario con delega ai Servizi Segreti Franco Gabrielli e come ministro la stessa di oggi, Luciana Lamorgese; o ancora Spartaco Mortola, quello intercettato mentre diceva ai suoi “oh non lasciatemi qui le molotov”, che ora è salito fino al grado di questore.

Non è tutto normale, non c’è mai stato pentimento (sentimento che non dovrebbe rientrare nella valutazione giudiziaria) ma neppure un gesto di riparazione, un’ammissione di responsabilità. Anzi queste “divise” che hanno massacrato di persona o ordinato pestaggi o falsificato le prove hanno presentato un ricorso per cavilli in un processo.

La polizia non è fatta solo di queste persone. Ma queste persone stanno ai posti di comando. E lo sono perché la riforma che aveva democratizzato le forze di polizia nel 1981 è stata sabotata dall’interno, con la promozione ai vertici di personaggi dai modi spicci, gente che aveva agganci politici nazionali e internazionali che non sopportavano le dinamiche democratiche. Legami e pratiche che sopravvivono ai cambi dei governi.

Un ultimo quiz prima di chiudere: chi si ricorda almeno qualcuno degli “otto” che stavano dentro Palazzo Ducale nel luglio 2001? Vi sblocco un ricordo: Bush, Blair, Berlusconi, Schroeder e Putin. Allora progettavano la globalizzazione neoliberista e sembravano d’accordo su tutto, sicuramente a non dare soldi all’Africa, insistere su gas e petrolio, e chiudere gli occhi sui pestaggi a Genova.

Danilo De Biasio, direttore del Festival dei Diritti Umani


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