Sono “Incompiuti” i teatri abbandonati che Report non vuole dimenticare

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Si intitola “Gli incompiuti” l’inchiesta di Report andata in onda lunedì 18 aprile, firmata dall’inviata del programma di Rai 3, Giulia Presutti e condotto da Sigfrido Ranucci: sono i teatri chiusi e abbandonati da decenni. Anche da quaranta anni in certi casi. Un’inchiesta che si apre con le immagini terrificanti dei resti sventrati del Teatro accademico di prosa della Regione del Donetsk, che sorgeva nella città di Mariupol, colpito da missili russi nonostante sul piazzale esterno fosse stato scritto a caratteri cubitali “Bambini” per segnalare la loro presenza all’interno del Teatro, scelto come rifugio dalla popolazione civile. Centinaia le vittime che sono rimaste sotto le macerie che dimostrano come una guerra insensata si accanisca prima di tutto su chi non può difendersi come le donne e i bambini. Una tragedia che ha suscitato reazioni di sgomento e che ha fatto dire al ministro della Cultura, Dario Franceschini, con un twitter: «Siamo pronti. Il Consiglio dei ministri ha approvato la mia proposta di offrire all’Ucraina le risorse e i mezzi per rimetterlo in piedi il prima possibile. I teatri di tutte le nazioni appartengono all’umanità». Affermazione che Sigfrido Ranucci in apertura del servizio televisivo ha commentato così: «Una dichiarazione e una scelta nobile ma ora Mariupol è stata conquistata dall’esercito russo e sarà molto difficile che si possa contribuire alla sua ricostruzione».

Difficile non essere d’accordo vista la realtà tragica in cui l’Ucraina si ritrova e deve farne i conti con un invasore che non ha nessuna intenzione di ritirarsi. Intanto in Italia i teatri «uno su due è di proprietà pubblica e in larga parte si tratta di edifici storici, vincolati dalle sovrintendenze ai Beni Culturali che ne dovrebbero preservare, oltre alla funzione culturale, anche il valore architettonico e artistico. E invece spesso li chiudono per necessità di un restauro che poi, per mancanza di fondi, non viene completato: le città restano così prive del luogo di aggregazione più importante nella storia d’Italia. «L’ultimo censimento redatto da Francesco Giambrone (attuale soprintendente del Teatro dell’Opera di Roma, ndr) e Carmelo Guarino risale al 2008 (con la pubblicazione del volume Teatri Negati, ndr) che conta 428 teatri chiusi – spiega il conduttore di Report – , un patrimonio artistico, culturale e architettonico inestimabile, ma anche dal valore simbolico che rappresenta un impulso alla resistenza e alla resilienza. Le immagini del servizio “Gli incompiuti” fanno poi vedere il Teatro Massimo di Palermo commentate da Francesco Giambrone intervistato da Giulia Presutti: Tra il 1974 e il 1997 il Teatro Massimo di Palermo è rimasto chiuso, abbandonato. Era la stagione della grande offensiva della mafia e un’interruzione breve per lavori di restauro si è trasformata in una lunga pausa, che ha privato la città del monumento che più la rappresenta: il teatro lirico.

A riaprirlo sono stati i bambini delle scuole, in segno di riscossa della cittadinanza dopo le stragi per mano di Cosa Nostra. Il Teatro viene chiuso per motivi di sicurezza ma i lavori previsti non vengono fatti e resterà chiuso per 23 anni. Un gigante chiuso e l’intera comunità di Palermo ne è stata complice». Il Massimo è il terzo teatro in Europa per grandezza architettonica dopo l’Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna, costruito su progetto dell’architetto palermitano Giovan Battista Filippo Basile e realizzato dal figlio Ernesto Basile, il più grande interprete dello stile Liberty. L’inaugurazione della sua riapertura è avvenuta il 12 maggio del 1997 con un concerto memorabile dei Berliner Philarmoniker diretti da Claudio Abbado. Ma perché i teatri vengono chiusi, chiede l’inviata di Report, a Francesco Giambrone: «Per necessità dettata da interventi di adeguamento, mancanza di risorse e per perdurata inagibilità».

La metà dei teatri in Italia è di proprietà pubblica in cui sono coinvolti i comuni, le regioni e il Demanio statale. La giornalista ricorda poi che il Massimo per mancanza di fondi comunali non potrà pianificare la prossima stagione. Segno che le cose non cambiano in Italia, nonostante tante promesse che tutti i governi hanno sempre pubblicamente dichiarato. «Quantificare quanto ci è costato questo abbandono (i teatri chiusi, ndr) per il mancato indotto, il deterioramento, i mancati incassi e anche per il danno d’immagine, è difficile – ha spiegato ancora Sigfrido Ranucci – e alla domanda che abbiamo posto al ministero della Cultura in cui chiedevamo cosa intendono fare, la risposta è che saranno erogati 420 milioni di euro per il 2022 ma solo per finanziare spettacoli e non per i teatri chiusi che possono crollare. La metà dei teatri sono pubblici e troppi gli enti coinvolti. Ma se uno mette sotto tutela delle soprintendenze un bene, è perché lo giudica importante per la storia del nostro paese e per la sua funzione sociale, ma allora perché poi me lo rendi inagibile per quarant’anni? Ci sono poi i costi del disagio sociale provocato da un degrado del bene comune – conclude Ranucci – che doveva servire alla formazione e allo sviluppo della persona, e non è previsto nessun investimento nel Piano nazionale di ripresa e resilienza»,  è la triste considerazione che Report rimanda a chi dovrebbe darne conto, a fronte di chi invece vorrebbe costruire una base militare nel Parco di Migliarino San Rossore con i finanziamenti, appunto, del Pnrr.

Ci pensa poi l’attore Andrea Pennacchi a spiegare con parole semplici cosa significa chiudere un teatro: «Quando chiudi un teatro chiudi le porte in faccia alla città ma non sei tu che chiudi dentro qualcosa, sei tu che ti chiudi fuori, che hai chiuso qualcosa nella tua testa, nel tuo cuore ». A chiudere fuori il pubblico ci hanno pensato anche Venezia dove Report è andato a verificare cosa è accaduto: «A Venezia su molti teatri è calato il sipario. Nel centro storico un gioiello architettonico di inizio ‘900, il Cinema Teatro Italia, oggi è un supermercato Despar pubblicizzato su internet come “il punto vendita più scenografico al mondo e il Teatro del Ridotto che una finanziaria Benetton ha acquistato insieme ad un palazzo nelle vicinanze di Piazza San Marco dove una parte risale fin prima dell’anno Mille. Il Teatro era in funzione dagli anni ‘40 al secondo dopo guerra fino alla fine degli anni ‘80 trasformato in una sala da ricevimenti di lusso». «Finito nel dimenticatoio nonostante fosse stato dichiarato che la sua funzione sarebbe stata salvaguardata. Segno della decadenza di Venezia» – ha spiegato Carlo Montanaro ex direttore dell’Accademia delle Belle Arti – , così come è accaduto al Teatro Fondamenta Nuove, Teatro della Murata, l’Aurora e il Teatro Arena Verde sull’isola di San Giorgio chiuso nel 2013, citati da Antonio Varvara che è stato direttore artistico del Teatro Aurora fino al 2014.

Ma a Venezia c’è anche un altro teatro dimenticato: il Teatro Marinoni situato all’interno dell’ex ospedale al Mare al Lido di Venezia. Il Veneto è una delle regioni che spende meno per la cultura. Uno dei settori a soffrire per questo è quello teatrale. L’assessore alla Cultura della regione Veneto, Cristiano Corazzari, intervistato da Giulia Presutti ha spiegato che «il Veneto non ha a bilancio una linea dedicata per la riapertura dei teatri chiusi essendo una Regione a statuto ordinario non impone l’addizionale Irpef ai propri cittadini». Il Veneto risulta penultimo per investimenti nella cultura con una spesa di soli 3,50 euro a persona a differenza della Val d’Aosta che ne spende 346.« Nel 2017 la regione Veneto aveva investito 30 milioni d’euro mentre nel 2022 ne ha stanziati soli 19» – ha spiegato a Report, Elena Ostariel consigliere regionale. Porte sbarrate anche a Pisa dove il Teatro Rossi era stato occupato dai lavoratori dello spettacolo e qui le risposte per avere spiegazioni della decisione sono state inevase e reticenti. Giovanni Campolo attivista del movimento che operava nel Teatro ha dichiarato come il loro intento è sempre stato quello di mantenere il legame con tutte le istituzioni, Comune, Demanio e Soprintendenza. Tra il 2004 e il 2009 sono stati eseguiti dei lavori di ristrutturazione dei bagni e del foyer, la demolizione della copertura di legno che aveva un valore artistico, sostituita da una in cemento.

Per ripristinarlo ora servirebbe un milione di euro. «La cosa singolare – spiega Giulia Presutti – è che dopo aver scritto ad Alessandro Pasqualetti direttore dell’Agenzia del Demanio di Pisa – è stato pubblicato un bando per la concessione d’uso del Teatro e alle nostre domande per capire cosa accadeva, la risposta è stata: “non possiamo rispondere perché il bando è ancora aperto”». Anche le domande rivolte all’ex soprintendente ai Beni Culturali Andrea Muzzi non hanno trovato risposte esaurienti: «Noi non abbiamo fatto un progetto di lavoro perché non potevamo chiedere finanziamenti a causa del teatro che era occupato». Affermazione contestata da Report che ha ricordato come la Soprintendenza di Pisa aveva la gestione del Teatro Rossi anche prima dell’occupazione.

Una volta tanto al Sud le cose vanno diversamente dove a Napoli nell’edificio dell’ex Filangieri, un palazzo del ‘500, che un tempo ospitava un asilo, è stato aperto un teatro per merito dell’iniziativa dei cittadini. Nicola Capone ricercatore di filosofia del diritto ha spiegato cosa è accaduto nel 2012 occupando lo spazio da parte di un movimento ampio di lavoratori dello spettacolo e il Comune ha concesso nel 2015 per uso civico. L’ex sindaco Luigi De Magistris: «Abbiamo escluso che se ne facesse un uso esclusivo e privatistico e il progetto si poteva realizzare come bene comune. Se non c’è una controprestazione di denaro questa cosa non è legittima. La primazia del denaro non c’è in Costituzione». Chiara Cucca attrice ha accompagnato Giulia Presutti nella visita dello spazio teatrale in cui ogni giorno provano a turno sette compagnie teatrali e Margherita D’Andrea, dottoranda in diritto amministrativo ha spiegato che «il Comune di Napoli paga le bollette ma in realtà risparmia un milione d’euro all’anno». Un esempio virtuoso che dimostra come sia possibile trovare delle soluzioni se c’è la volontà di farlo. Chissà se Report sarà riuscito a risvegliarla in chi dovrebbe dimostrarla di possedere ed esercitare…

Gli incompiuti – Report (rai.it)


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