Qui abitava Alfredo Violante… A Milano una nuova pietra d’inciampo ricorda il giornalista ucciso nei campi di sterminio

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Un vuoto di pochi centimetri aperto nel marciapiede vicino a un portone d’ingresso. Via Washington, zona ovest di Milano, strada di negozi e spazi commerciali alla moda. Davanti al numero 79, in quel vuoto di pochi centimetri, viene messo un blocco di pietra, la faccia superiore è ricoperta da una piastra di ottone. Sopra sono incise queste parole: “Qui abitava Alfredo Violante, nato nel 1888, arrestato il 1° dicembre 1943, deportato a Mauthausen, assassinato il 24 aprile 1945”.

Date e luoghi sono riportati su una delle dodici nuove pietre d’inciampo posate a Milano. Sono date e luoghi che dicono molto: Seconda Guerra Mondiale, morte in uno dei campi di concentramento nazisti dove sono state uccise centinaia di migliaia di persone, soprattutto oppositori politici. Il nome, Alfredo Violante, racconta una storia di fiducia incrollabile nei valori della libertà e dell’informazione.

Violante era un giornalista pugliese. Scrisse fin da quando aveva 16 anni, diventò caporedattore del Corriere delle Puglie, antenato della Gazzetta del Mezzogiorno. Fondò un giornale che i fascisti distrussero, con le restrizioni alla libertà di stampa si trasferì a Milano. Continuò a opporsi al regime, nel ’43 decise di unirsi alla Resistenza, aprì il giornale clandestino Il Progresso. Venne arrestato. Dal carcere di San Vittore fu deportato prima a Fossoli poi a Mauthausen, in Austria. Anche da prigioniero si occupò di organizzare una biblioteca, progettò la realizzazione di un giornale per denunciare i crimini dei campi di sterminio nazisti. Fu portato nella camera a gas pochi giorni prima dell’arrivo degli Alleati.

Ho seguito per Radio Popolare la posa delle pietre d’inciampo a Milano: un po’ ricordo, un po’ raccoglimento, un po’ curiosità, soprattutto dei più giovani. La cerimonia per il giornalista ucciso nei campi di sterminio è stata particolare, perché vi ha partecipato anche il figlio, un uomo ormai  provato dall’età ma non per questo meno reattivo.

Per i familiari di Violante, vedere una pietra d’inciampo che riporta quelle date, quei luoghi, quel nome è un dolore e un sollievo. Per Paolo Violante, il dolore è di aver visto portare via il suo papà quando aveva 9 anni. Il sollievo è avere adesso, che gli anni sono diventati 87, quello che definisce “un ricordo pesante”, un riconoscimento fisico, tangibile della testimonianza del padre: “Mi ricordo di averlo incontrato l’ultima volta nella biblioteca del carcere di San Vittore. Di notte sognavo che sarebbe tornato” dice Paolo. Tra le mani stringe la pietra d’inciampo dedicata a suo papà, prima che venga fissata per terra: “Lui mi ha insegnato tutto: la forza di resistere e di andare avanti, senza cedimenti”. Un esempio che il comitato “Pietre d’inciampo”, l’Anpi provinciale, il Comune di Milano e i presenti alla posa hanno trasformato in memoria collettiva. Per chi dalla deportazione non ha più fatto ritorno, è una via per tornare finalmente a casa.


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