Demetrio Volcic, un esempio di umanità applicato al giornalismo

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E’ con un certo rammarico che scrivo non della scomparsa di Demetrio Volcic, ma di come lo abbiamo salutato noi, i suoi colleghi. Demetrio è stato per tanti anni uno di noi, certamente, ma credo che sia stato anche una strada che potevamo o avremmo potuto seguire. Una volta disse: “Quando c’era l’Unione Sovietica capivamo tutto anche se non sapevamo nulla. Oggi sappiamo tutto ma non capiamo niente”. Demetrio ha rappresentato l’informazione sul mondo sovietico e poi russo per gli italiani, e non solo, da un piccolo ufficio moscovita dove ha vissuto per anni. Quel tempo di certezze e contro-certezze lo ha portato dentro le nostre case, e per noi che siamo stati suoi colleghi nei nostri incontri, nei nostri colloqui, nei nostri scambi d’opinione. Se Mosca vuol dire qualcosa vuol dire Demetrio Volcic e se il suo nome vuol dire qualcosa vuol dire Mosca. Questo è stato vero per il fortunato combinato disposto Rai-Demetrio Volcic. Quel combinato disposto poi è proseguito nel tempo post-sovietico, ma la Rai è cambiata, non ha più avuto modo di incontrare un Volcic sul suo cammino, e la nuova realtà editoriale ha preso il sopravvento sulle capacità di tanti. Ma la capacità di Demetrio che non abbiamo capito a sufficienza è quella umana, indispensabile per diventare quello che è stato lui. Chi non diceva di essere amico di Volcic? Eravamo tutti suoi amici, tutti suoi colleghi, perché lui aveva qualità indiscutibili e unanimemente riconosciute. Ma le qualità che ne hanno fatto Volcic, ripeto, erano quelle umane. Il suo interesse per il mondo che ha raccontato non era accademico, o solo accademico, era un interesse storico, paesaggistico, valoriale, letterario: umano. Era un uomo che viveva la storia della storia che raccontava e raccontava il presente sentendo la storia, i contadini e gli intellettuali, i gerarchi e i letterati. Con Demetrio è sparito non solo un grande professionista, ma un modo di vivere la professione, la passione, la storia della storia che si racconta.

Quando era capo delle sede Rai di Mosca Demetrio insistette per anni per avere con sé Marc Innaro e Lucio Gambacorta, due bravissimi colleghi, senza dubbi, ma soprattutto due qualificati conoscitori del russo. Se si trattava di raccontare la storia della storia di cui ci si candidava ad essere narratori, bisognava poterci andare a cena con quella storia, sentirla parlare come parlano i contadini, sentirla parlare come parlano gli intellettuali. Non era elitismo da poliglotti, era la passione per l’ingresso nella realtà quotidiana più che nelle fonti. Tutto questo lo ha spiegato meglio di ogni altro Casanova, che si chiedeva di cosa avrebbe parlato con una donna della quale non conoscesse la lingua dopo averci fatto l’amore.

Per ripartire non servono tecnologie: servono, certamente, sono fondamentali. Ma gli strumenti non ti daranno mai l’umanità indispensabile a entrare in sintonia con un mondo come la curiosità, l’interesse, la conoscenza umana. L’eccezionalità di Volcic non è ripetibile, ma pensarlo un’eccezione, un grande professionista, uno più bravo, ne limita la portata e il valore. Demetrio Volcic è stato un esempio di umanità applicato al giornalismo che proprio per questo ha potuto raccontare una storia raccontando la storia di quella storia senza bisogna di fare un trattato. Rimuovere questo è rimuovere Volcic e il suo grande contributo a capire come fare oggi per tornare a raccontare, davvero, quello che solo appassionandosi alla realtà di chi la fa, ai suoi trascorsi, alle sue paure, ai suoi limiti, alle sue speranze, ai suoi miti, si può riuscire a comunicare. Parlarne come come di uno “bravissimo” non ha senso. Demetrio era un esempio, una strada che ognuno osservandolo poteva seguire, a modo suo, in parte, poco o tanto. Non ho l’impressione che si sia creduto nell’indispensabilità di stare con lui, cercando di imitarlo, sulla “frontiera”.


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