Un codice unico di diritto giornalistico

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La pubblicazione di un annuncio anonimo per la ricerca di una madre surrogata su un quotidiano non legittima ipso iure un giornalista a rivelare l’identità degli aspiranti genitori, pubblicando le loro foto e la loro storia con l’inganno, nonostante il ricorso all’utero in affitto non sia regolamentato dalle leggi interne slovacche ed anzi in alcuni paesi europei costituisca addirittuta illecito.
È questa la sentenza della CEDU del 1° luglio 2021, nel caso Hajovisky c. Slovacchia (ric. 7796/16) mediante la quale si ribadisce un principio basilare  nell’esercizio del diritto di cronaca: il divieto di pubblicare dati sensibili tutelati dalla privacy.
Nel doveroso bilanciamento fra l’interesse pubblico sotteso al diritto di cronaca e le norme sulla riservatezza individuale, queste ultime incidono sulle possibilità per un giornalista di rivelarsi nomi e circostante private e limitano le modalità mediante le quali i mezzi di informazione trattano la cronaca.
Le norme sono in parte poste dalla legge ed in parte dal codice deontologico dei giornalisti del 1998 che peraltro è stato approvato con la partecipazione del Garante privacy.
Poi ci sono fonti importanti come la Carta di Treviso del 1990 sui minori e la Carta dei doveri del 1993.

Esistono già, dunque, regole e principi.
Sarebbr utile far confluire in un codice unico del diritto giornalistico  tutte le indicazioni che, in modo non organico, sono oggi presenti nel nostro sistema; e magari disciplinare  aspetti ancora non esplicitamente riconosciuti.
Questo per evitare talvolta una discrezionalità giudiziaria non sempre conforme fra i tribunali italiani e le corti sovranazionali.

L’approvazione di un codice unico, oltre ad impegnare deontologicamente tutti i giornalisti sarebbe utile proprio per valorizzare la professionalità di settore, fornendo una informazione sempre di qualità e conforme al rispetto dei diritti di chi si trova esposto talvolta involontariamente alla cruda esibizione dei propri fatti di vita di fronte alla pubblica opinione, e spesso purtroppo alla pubblica morbosità.


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