Lo Muzio: “Questo premio non è il mio, è di tutte le colleghe e colleghi freelance precari…”

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“Questo premio non è il mio, è di tutte le colleghe e colleghi freelance precari, fotografi, operatori e giornalisti videomaker, che ogni giorno rischiano botte, querele e intimidazioni”. Con queste parole Valerio Lo Muzio, videomaker freelance di stanza a Bologna, ha ritirato il premio di Articolo21 alla Casa internazionale delle Donne a Roma. Valerio è forse il “volto noto” dei giornalisti che non godono di un contratto di lavoro stabile ma che raccontano in prima fila il Paese.
La sua dedica a “quelli come lui” non è scontata. Perché a non essere scontato è l’esito della battaglia che in questi anni la società civile, associazioni e la Federazione nazionale della Stampa portano avanti per il riconoscimenti delle giuste tutele per i “braccianti dell’informazione”, ossia chi, oggi, fa del racconto del reale il suo lavoro in condizioni precarie e di sfruttamento. Sette su sette, 24/24. Come ha ricordato sul palco  di articolo21 Valerio “venire contagiati e quindi di stare a casa e  non lavorare, e avere guadagno zero, è stato un rischio in pandemia”. Però questo non ha scoraggiato lui e i giornalisti come lui.

Valerio Lo Muzio è quel videomaker a cui non parve normale che il figlio dell’allora  ministro degli Interni, Matteo Salvini, usasse una moto d’acqua della polizia. E qui, il “non normale” significa notizia. Per questo riprese giustamente la scena. E questo non piacque a chi voleva una narrazione differente dalla realtà – una realtà vista con le lenti del conformismo verso l’uomo con più consenso in Italia in quel momento. E così arrivarono le minacce e le intimidazioni per Valerio, reo di aver fatto quelle riprese non gradite all’entourage dell’uomo-forte del momento.

NESSUNO SI SALVA DA SOLO’

E’ stato allora che la comunità civile e professionale si è offerta di fargli da “scorta mediatica”: sindacato, Aser (Associazione stampa Emilia-Romagna) e Fnsi, articolo21 e altri ripresero il lavoro di Valerio e lo protessero. Poi è arrivato Covi e il lavoro dei freelance in fase pandemica è stato più complicato che mai. Valerio ha raccontato uno dei luoghi in cui le norme venivano infrante in barba all’emergenza: altre immagini difficili da digerire per chi strizzava l’occhio, dal Parlamento in giù, a chi “teneva aperto” mentre alcuni ospedali erano al collasso, con la malcelata idea di averne un tornaconto elettorale. E ancora il racconto dei “sinceri democratici” di frange estreme di destra, sempre pronte a mostrare i muscoli con chi ha il dovere di seguire le loro scorribande pubbliche.

Il lavoro di Lo Muzio è importante, quindi, perché fatto da chi non ha una certezza di reddito alla fine del mese o di diritti sociali in caso di bisogno. Ed è ancor di più importante perché alla precarietà si aggiunge una granitica, stabile passione del servizio giornalistico, quella forza che portano al racconto del reale coloro che non hanno timore di denunciare le storture che viviamo, costi quel che costi.

Eppure basterebbe poco per dare un segnale chiaro agli aggressori di Lo Muzio e a Lo Muzio stesso, e potrebbe farlo il Governo. C’è una norma a costo zero capace di dare più tutele a Lo Muzio e ai circa 20mila giornalisti precari in Italia.  Garantire un equo compenso per i giornalisti. L’identificazione dei parametri dell’equo compenso per i giornalisti non dipendenti (Legge 233/2012), e conseguente sua attuazione, fino ad oggi bloccata, in violazione della legge stessa e dell’articolo 36 della Costituzione: questa sì che sarebbe una bella notizia.

EQUO COMPENSO
La palla, come noto, è nel campo del sottosegretario all’editoria, Giuseppe Moles, che ha annunciato almeno una decina di volte la convocazione del tavolo per l’Equo compenso. L’argomento oggi è utile per convegni e incontri pubblici del Sottosegretario, ma resta un nodo che il Governo deve sciogliere. Sia per dare una risposta ai giornalisti come Valerio, sia per mandare un messaggio ai cittadini: sulla qualità dell’informazione si misura la qualità della democrazia di un Paese. Una cosa scontata, direte? E invece no. Di sicuro, nel mondo dell’informazione d’oggi, c’è solo una cosa: la precarietà.


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