La Bielorussia non fa più notizia ma la situazione non è migliorata

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La Bielorussia non fa più notizia, ma non significa affatto che la situazione sia migliorata. Al contrario, le repressioni politiche in Bielorussia continuano lontano dai riflettori.

Oggi 14 maggio, undici studenti bielorussi e una professoressa affrontano un processo penale per aver partecipato alle proteste pacifiche del movimento studentesco contro le violenze del regime di Lukashenko. Si trovano in carcere dal momento del loro arresto avvenuto in autunno del 2020. Secondo i media indipendenti bielorussi, alcune persone che stamani si sono presentate al tribunale di Minsk per assistere al processo sono state fermate dalla polizia.

Anche tre giornalisti arrestati nei giorni scorsi affronteranno oggi il processo in tribunale. Si tratta della fotoreporter Tatsiana Kapitonava e i free-lance Alyaksandr Burakou e Uladzimir Laptsevich.

372 sono i prigionieri politici in Bielorussia. 15 giornalisti sono dietro le sbarre perché stavano facendo il loro lavoro. Altre centinaia di detenuti sono in attesa di ricevere lo status di prigioniero politico: l’unica ong per i diritti umani presente sul territorio, Viasna, ha le risorse limitate per completare velocemente le pratiche, ma è una certezza che il numero è destinato a crescere ed è stimato intorno a 1000 persone. La popolazione dell’intero paese è di 9,5M di abitanti.

Le condizioni di detenzione dei prigionieri politici sono spesso disumane: letti senza materassi, camere sovraffollate con le persone costrette a dormire per terra, niente oggetti di prima necessità come carta igienica, spazzolino da denti, dentifricio. Le guardie versano della candeggina per terra nelle celle, provocando ustioni delle vie respiratorie dei detenuti, li picchiano con i manganelli e creano le pressioni psicologiche in ogni modo possibile, cercando di convincerli che il loro sacrificio non sia servito a niente e che il mondo si sia ormai dimenticato di loro.

L’ ong per i diritti umani Viasna e i media indipendenti bielorussi riportano regolarmente i casi di cui sopra. Per questo i bielorussi in patria e all’estero scrivono centinaia, migliaia di lettere a chi ha sacrificato la propria libertà sull’altare del futuro migliore per il proprio Paese. Queste persone in una situazione di normalità rimarrebbero dei perfetti sconosciuti.

Da una collaborazione tra la Federazione italiana per i diritti umani e l’Associazione bielorussi in Italia “Supolka” nasce la campagna di solidarietà e sensibilizzazione #Standwithbelarus, che offre la possibilità anche agli italiani di esprimere il loro sostegno ai prigionieri politici bielorussi. I modi sono tanti: scrivere loro delle lettere, raccontare le loro storie sui propri social, fare quello che si farebbe per un amico nella stessa situazione. La campagna è aperta a tutti, dagli studenti ai parlamentari, che hanno aderito con entusiasmo: Barbara Pollastrini (Ksenia Syramalot), Lia Quartapelle (Vitaliya Bandarenka), Laura Boldrini (Maria Kolesnikova), Emanuele Fiano (Alena Maushuk), Aldo Penna (Mikalai Dziadok), Emilio Carelli (Ihar Losik); la sindacalista Susanna Camusso (Aliaksandra Patrasayeva).

Le linee guida dettagliate si trovano sul sito della FIDU, mentre l’Associazione bielorussi traduce gratuitamente le lettere dall’italiano al russo. È necessario farlo perché la censura non fa passare le lettere in lingue straniere.

Nel cuore del continente europeo ci sono centinaia di prigionieri politici. Sono le persone che hanno espresso apertamente la propria posizione politica con metodi non violenti in Bielorussia. Sono imprenditori, attivisti della campagna elettorale del 2020, manifestanti pacifici, blogger e giornalisti che facevano il loro dovere professionalmente: raccontavano la verità. Si trovano in carcere da mesi perché hanno esercitato il loro diritto a manifestare, alla libera espressione e alla partecipazione alla vita politica del paese.

In queste condizioni la solidarietà e il sostegno morale sono estremamente importanti, come è importante continuare a mantenere i riflettori accesi sulle brutalità del regime dittatoriale nel cuore dell’Europa.


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