Caso Open Armas, il rinvio a giudizio di Salvini e la ricostruzione di quella brutta estate del 2019

0 0

“Salvini rinviato a giudizio con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto atti d’ufficio. Felici per tutte le persone che abbiamo tratto in salvo durante la #Missione65 e in tutti questi anni. La verità del #Med è una, siamo in mare per raccontarla. #Missione65”. Con questo tweet di Open Arms è stata diffusa la notizia che restituisce un po’ di ordine ai tasselli di quella difficile estate del 2019, quando la vicenda dei migranti lasciati al largo, senza avere la possibilità di scendere mise a nudo quanto la battaglia politica di un partito di governo potesse incidere sulla solidarietà. Ed è stata una costante. Se ne è avuta consapevolezza via via maggiore nei mesi a seguire fino ad arrivare alle intercettazioni dei giornalisti e a certi retroscena. Tutto torna nella criminalizzazione dei migranti, delle Ong e di chi li racconta. Probabilmente il processo che partirà il 15 settembre prossimo potrà chiarire sia le circostanze in cui sarebbe avvenuto il contestato reato di sequestro di persona, sia i contorni di questa vicenda. A decidere, sabato 17, il rinvio a giudizio di Matteo Salvini, nella sua qualità di Ministro degli Interni all’epoca dei fatti, è stato il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo su conforme richiesta della Procura. Il secondo reato attribuito al leader della Lega è quello di omissione d’atti d’ufficio per aver impedito alla nave della ONG spagnola Open Arms di attraccare a Lampedusa, appunto,  nell’agosto del 2019. La nave aveva salvato 147 migranti. Secondo il capo di imputazione la decisione di non far attraccare la nave sarebbe stata presa dall’ex ministro di propria iniziativa, senza il coinvolgimento degli altri membri dell’allora governo Conte. Un punto quest’ultimo su cui la difesa di Salvini ha molto insistito sostenendo che, in realtà, si trattò di una decisione collegiale. “Sono convinto di aver fatto il mio dovere di ministro dell’Interno, difendendo la sicurezza e la dignità dell’Italia, nel rispetto della legge”, ha dichiarato l’ex Ministro a conclusione dell’udienza. Il reato di sequestro di persona, se dovesse essere riconosciuto dal Tribunale, comporta pene severe, fino a 15 anni di carceri anche in considerazione del fatto che tra i 147 migranti c’erano dei minori. Questo processo però, al di là di tutto, può offrire una ricostruzione millimetrica di cosa accadde nella “stanza dei bottoni” quell’estate e perché.

 


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21