Piazza Fontana 12 dicembre 1969. La fine del decennio dei sogni

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L’Italia del 12 dicembre non è mai finita, ma è sempre più complicato ripensarla oggi, in un anno di terrore e di tragedia epocale come questo 2020.
Ma in quel freddo pomeriggio di 51 anni fa il boato che distrusse la Banca Nazionale dell’agricoltura in Piazza Fontana a Milano uccise, con 17 vite umane, anche la gioia, l’entusiasmo, l’incosciente creatività di una nazione che in un decennio era passata dall’essere un paese perdente e distrutto dalla guerra ad un paese che con la lira aveva vinto l’oscar della moneta più affidabile. Si, era quella l’Italia del 1969, anno di sogni per il mondo che aveva visto l’orma dell’uomo sulla luna, anni di sogni per l’Italia che aveva costruito città, autostrade, navi, automobili, ricchezza quasi diffusa,ma anche coscienza civile e giuste rivendicazioni di classe. Era quello il problema. Si delineavano nuove forme di eccessive differenze sociali, la fabbrica, il padrone. Gli operai sapevano di poter ottenere di più, dopo anni di lavoro a testa bassa senza diritti, senza orari, senza rispetto. L’Italia ormai era ricostruita e forte nel 1969, era venuto il tempo di pensare alle persone.
Non era però questo il disegno di tutti. Gli storici, e molto meno chiaramente la magistratura, ci hanno spiegato in questi anni che la mano fascista che commise l’attentato non era, come sempre, mai stata lasciata sola: pezzi importanti di poteri vari vollero quella tragedia, non a caso immediatamente attribuita al generico mondo degli anarchici, perché ritenevano che gli italiani avessero preso troppo gusto alla libertà, alla democrazia, all’eguaglianza.
Piazza Fontana è ormai catalogata come l’inizio della “strategia della tensione”, una sorta di guerra allo stato con connotazioni politiche di estrema destra che in sequenza porta ad un terrorismo di marca fastista ma anche di estrema sinistra, che chiamiamo per semplificazione giornalistica “anni di piombo”, che ha fatto molte vittime e ha molti eroi, ma sui quali ci si è troppo presto accontentati delle spiegazioni ufficiali.
Non tutti ovviamente, non storici come Guido Krainz, o Miguel Gotor, o Luca Canali, o Alberto Melloni, tutti da leggere se si vuole avere una visione larga di quel percorso cominciato, appunto, il 12 dicembre del ’69 e tragicamente concluso con l’assassinio di Aldo Moro, il mistero nei misteri.
Ma la memoria ha un grande valore sempre. Siamo distratti dalla tragedia attuale ed è ovvio, naturale e umano che sia così. Però ricordare, ricostruire, magari leggere proprio perché si ha più tempo, per comprendere la storia recente dell’Italia in cui viviamo è davvero un esercizio utile per chiunque: i 17 morti e gli 88 feriti di quel giorno buio che ha aperto una stagione buia meritano non solo il ricordo, ma un impegno nuovo per tenere salde le basi della nostra democrazia.


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