Importante il riconoscimento del giudice Livatino, martire della legalità

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La beatificazione del giudice Livatino mette in netta contrapposizione i due opposti concetti di “onore”: quello dei mafiosi, fondato sulla capacità di far soffrire le persone per dominarle; quello degli altari, riservato a chi invece si è impegnato per ridurre la pena degli ultimi. Mai questa polarizzazione morale era stata affermata con maggiore nettezza dalla Chiesa. Anche se parole di condanna della mafia furono pronunciate da papa Giovanni Paolo II, molti preti hanno continuato a praticare questa promiscuità tra mafiosi e santi, accettando ricche offerte sporche di sangue. Un lassismo blasfemo rinforzato anche dal potere civile, che nei momenti più oscuri è arrivato a dire che con la mafia occorre convivere.

Papa Francesco – con l’avvio della beatificazione del “giudice ragazzino” – ha dato un segnale forte di rottura con la devozione assassina dei mafiosi. Che deve portare al bando dei preti collaborazionisti. Sono un credente atipico e non mi emoziona la pratica delle beatificazioni, ma ritengo importante il riconoscimento di questo martire della legalità, vissuta come protezione dei deboli. E che ha racchiuso il senso del suo impegno in una frase trovata nel suo diario: “Non ci chiederanno se siamo stati credenti, ma credibili”.

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