Dal papa a Biden. Una telefonata in nome del bene comune

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“La cautela della Santa Sede va letta dunque come un tentativo di non esasperare i contrasti.” Poche ore dopo che queste parole definitive sul motivo delle mancate congratulazioni del papa con Biden sono state impresse il papa ha formulato le sue congratulazioni al presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden. Cosa è accaduto della cautela? “Il presidente rappresenta un establishment che è l’antitesi del populismo di cui Trump e Bergoglio, seppure su posizioni agli antipodi, sono stati additati come figure speculari”. Ma il populista opposto ma analogo a Trump ha telefono al frutto proibito, o detestato, dell’establishment. Strano? In effetti telefonate del genere non sono “usuali”. I papi di solito si congratulano con i presidenti  nel giorno dei loro insediamenti. Il papa “populista” ha fatto proprio così con il presidente “populista” Trump, il 20 gennaio di quattro anni fa. E quel messaggio resta sul sito della Santa Sede:  “In occasione della sua inaugurazione come 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America le indirizzo i miei cordiali auguri e l’assicurazione delle mie preghiere che Dio onnipotente le garantisca saggezza e forza nell’esercizio del suo alto ufficio” scriveva Francesco. “In un tempo nel quale la famiglia umana è assalita da gravi crisi umanitarie che richiedono risposte politiche lungimiranti e unite – prosegue – prego che le sue decisioni vengano guidate dai ricchi valori spirituali e etici che hanno formato la storia del popolo americano e l’impegno della sua nazione per l’avanzamento della dignità umana e della libertà in tutto il mondo”. “Sotto la sua guida, possa la statura dell’America – è l’auspicio del Pontefice – continuare ad essere misurata soprattutto dalla sua preoccupazione per i poveri, gli emarginati, e coloro che, come Lazzaro, stanno davanti alla nostra porta. Con questi sentimenti chiedo al Signore di garantire a lei e alla sua famiglia, e a tutto l’amato popolo americano, le sue benedizioni di pace, concordia e ogni prosperità materiale e spirituale”.

Parole che lette oggi sembrano esprimere anche un giudizio, come forse tra quattro anni potrebbero essere interpretate quelle, dette al telefono, ieri. E cosa ha detto a Biden papa Francesco? Non lo sappiamo da fonte vaticana, visto che la telefonata era privata. Ma Biden ha fatto sapere qualcosa. Interessante leggere: “Nel colloquio -si fa sapere- Biden ha espresso il suo apprezzamento per la leadership del pontefice nel promuovere la pace, la riconciliazione e i legami comuni di umanità nel mondo”. E “il desiderio di lavorare insieme, sulla base della comune fede nella dignità ed eguaglianza di tutti gli esseri umani, su questioni come prendersi cura delle persone emarginate e povere, affrontare la crisi del cambiamento climatico, dare il benvenuto  e integrare gli immigrati e i rifugiati nelle nostre comunità”. Impegno per i profughi, sui cambiamenti climatici, per i poveri: non sono i cardini sui quali chiunque -volendo- si troverebbe facilmente in sintonia con Francesco?

Innanzitutto c’è da considerare che il papa potrebbe aver ritenuto più importante apprezzare la sostanza della democrazia piuttosto che “non esasperare i contrasti” che certo ci sono nella Chiesa americana. Non è un mistero che alcuni vescovi hanno espresso sui social un inusuale sollievo “irrituale” dicendo che Biden non è il “presidente eletto”. Ma quello che sarebbe un populista non sembra aver apprezzato pericolosi sbandamenti “politicizzati” di “fratelli nell’episcopato” troppo legati a qualcuno più che a qualcun altro. E allora per tenere la sua Chiesa in una posizione di autonomia dalla politica e dagli eccessi rischiosi, ha ritenuto di fare quel che ha fatto. C’è un senso di responsabilità verso il Paese che traspare evidente, come qualunque osservatore avrebbe colto nelle parole non divisive di Biden: curare le ferite!

Ma la cosa paradossale è che un contrasto per alcuni già si vede: e riguarderebbe la Cina. Che Biden intenta tenere una linea “ferma” con Pechino lo sanno anche i sassi. Ma quel che interessa al Vaticano non è condizionare la politica degli Stati, ma non avere richieste di dare avallo “morale” a scelte politiche. Sembra quasi, leggendo queste teorie, che il papa sia un sostenitore di Xi, quasi non sapesse che gli screzi sono una cosa, le persecuzioni un’altra. Ma tornare al tempo in cui i cristiani erano in quanti tali nemici del governo di Pechino e alleati politici dei loro nemici è altra cosa.  Tutto sommato fu durante il pontificato di Giovanni Paolo II che la Civiltà Cattolica, nel 2001, seppe affermare al riguardo della Cina: «In primo luogo, i neofiti cinesi, abbracciando il Cristianesimo, non avrebbero dovuto in alcun modo rinunciare alla lealtà nei confronti del loro paese». Nulla di strano: fu proprio lui, Giovanni Paolo II, in quel 2001, ad auspicare l’apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese. Spazio perseguito e cercato da lui, da Benedetto XVI e da Francesco.


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