Andrea Rocchelli è ancora sotto attacco. Difendiamolo!

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Vitaly Markiv è un sergente della guardia nazionale con doppia cittadinanza italo-ucraina  che il 12 luglio 2019 è stato condannato in primo grado dalla Corte d’assise di Pavia a 24 anni di carcere, per aver concorso nell’omicidio del fotoreporter Andrea Rocchelli, avvenuto il 24 maggio 2014 nelle regioni orientali dell’Ucraina, dove si stava svolgendo la guerra del Donbass. Nel conflitto si fronteggiano tutt’ora l’esercito filo-governativo che risponde a Kiev, e le milizie delle due autoproclamate repubbliche popolari, quella di Luhans’k e quella di Donec’k.

IL VICE-COMANDANTE MARKIV

Markiv è un soldato qualificato della guardia nazionale in missione sulla collina di Karachun in difesa della antenna televisiva. Sappiamo che Markiv ha un ruolo di comando perché lo dice lui stesso nell’ambientale del 1/7/2017: “Ero andato in ATO [operazione anti-terrorismo], ero il superiore e davo il comando”. Markiv ha un equipaggiamento da comandante, infatti, nonostante ci siano pochissime radio a disposizione della guardia nazionale lui ne ha almeno due e in una foto addirittura tre. In più: è sempre Markiv che rilascia interviste appunto come se fosse il comandante. È lui che si fa fotografare. È Markiv che parla continuamente dei “miei uomini” con tutti giornalisti che incontra. E con le due radio in dotazione dice ai mortaristi dove si trovano i bersagli alla base della collina da colpire.

Non solo, sono gli stessi media ucraini che all’indomani dell’arresto di Markiv a indicarlo come vicecomandante. Nell’articolo “Markiv detenuto in Italia è comandante di plotone nel battaglione Kulchytsky” a cura di Interfax-UKraine (1/8/2017) si legge “Un militare ucraino, Vitaliy Markiv, detenuto in Italia con l’accusa di aver ucciso un fotoreporter italiano è vice comandante di plotone nel battaglione della Guardia nazionale ucraina” ha detto il comandante Antonyschak. E aggiunge “Voglio chiarire. Non era nel battaglione Kulchytsky, prestava servizio nel battaglione Kulchitsky come vice comandante di plotone. Per quanto riguarda la detenzione di Markiv, è illegale”.

Nell’articolo di Focus del 18/7/2019, a commento della sentenza di condanna, si legge l’articolo dal titolo “Salva lo straordinario Markiv. Chi c’è dietro il caso della Guardia nazionale ucraina, condannato per l’omicidio di un fotoreporter italiano” dove si sostiene che “Nel maggio 2014, il plotone, di cui Markiv era il vice comandante, ha assunto posizioni di combattimento sul monte Karachun. Il sesto posto di blocco situato lì era di importanza strategica: trovandosi sopra, i militari ucraini potevano controllare le uscite da Slaviansk catturate dai militanti del sud e dell’est, oltre a tenere sotto controllo il fuoco della periferia sud-occidentale della città”.

E infine l’articolo su Unian del 3/7/2017, dove vengono riportate le dichiarazioni del sostituto procuratore ucraino: “Il 1° luglio, il sostituto procuratore generale Yenin ha dichiarato che il vice comandante di plotone del primo battaglione della Guardia nazionale […] è stato arrestato in Italia con l’accusa di omicidio di un fotoreporter”.

Secondo il sergente Markiv, “qualunque cosa si muova di sotto è un nemico, perché sotto è tutta dei filo russi… qualunque persona con un telefonino in mano può essere un terrorista, perché da le coordinate di dove siamo… La gente civile col telefono in mano può causare molti morti” Quindi per Markiv i giornalisti e i civili erano terroristi a prescindere.

Anche se la sua avvocata in discussione, nel tentativo di convincere la Corte che la Guardia Nazionale non avrebbe sprecato munizioni per abbattere Andy e Andrey, riesce a dire “Che paura può fare scusate un Rocchelli, un Mironov che fotografano un vagone? E lì, è una zona vuota, fotografano un vagone, ma questo vagone anche se viene pubblicato che cosa può portare per la ricerca della verità un vagone che stato fotografato 50 volte anche nei giorni precedenti?” Sminuendo così il lavoro dei due giornalisti che invece era proprio quello di documentare che dalla collina Karachun sparavano con i mortai su Sloviansk e come erano costretti a vivere i civili sotto i bombardamenti.

Peraltro il 19 maggio 2014 (5 giorni prima dell’omicidio) sull’importante giornale russo “Novaya Gazeta” (n. 53) veniva pubblicato l’articolo “Noi non siamo bestie. Non bisogna avvolgerci con il filo spinato!”, firmato da Andrei Mironov e Andy Rocchelli con le foto dei bambini nel seminterrato scattate da Andy che sono diventate subito famose in Ucraina. Dice Ludmila, la civile intervistata: “mentono, dicendo che tutti hanno lasciato la nostra città, ma siamo rimasti tutti qui, quindi ci chiamano i separatisti… È molto spaventoso vedere come l’esercito ucraino, i nostri connazionali, ci sparano. Vogliamo che ci considerano come persone! Persone che vogliono la pace… le azioni militari non possono essere condotte nel territorio in cui vivono i civili”.

La giornalista Lucia Sgueglia intervista il 18 giugno 2015 per l’Espresso i civili che Andy e Andrey Mironov avevano fotografato e intervistato e raccontano cosa faceva Andrea in quei luoghi in quei giorni: “SIGNORA VALENTINA, 64 anni. Fino a quel momento avevo rifiutato di parlare coi giornalisti occidentali, tanto non dicevano mai la verità. Poi vennero Andrey e Andrea da me.. Ci mettemmo a parlare…. Mironov e Rocchelli mi dissero: ora andiamo a dormire, e domani mattina torniamo qui da lei. E così fecero: la mattina arrivarono. Poi Andrey cominciò a venire ogni giorno, filmava (o fotografava) tutto. Colpirono la locomotiva nel campo… ci abito davanti. E i due Andrea andarono lì e registrarono tutto. Poi tornarono il giorno dopo, e fotografarono di nuovo. Il 18 maggio di sicuro erano già qui da me.. Ogni giorno andavano lì a fotografare quei vagoni, erano in due. LIUDMILA racconta: “Hanno fotografato tutti i nostri figli, come si nascondevano in cantina, e tutta la nostra famiglia, da casa nostra gli abbiamo mostrato come bombardavano da Karachun.”

Il loro scopo, dicevano, era fotografare (o filmare) come da Karachun sparavano sulla città. E ogni volta che gli ucraini bombardavano, loro subito correvano sul posto. Finché non li hanno uccisi.

 [Foto di Andrea Rocchelli: i bambini nello scantinato]

CHI È MARKIV

Da quello che traspare dalle intercettazioni compiute dal ROS, una volta arrestato in Italia, e da quanto emerso dai materiali rinvenuti sui dispositivi dello stesso Markiv, diventa subito chiara la personalità del sergente. Per esempio viene ritrovata una foto di svastiche e saluti fascisti dei suoi commilitoni. Riguardo la bandiera nazista, durante il processo cercherà di smarcarsi da ogni accusa con giustificazioni traballanti, asserendo che la bandiera sarebbe stato un trofeo di guerra sottratto ai separatisti. “E allora perché fanno il saluto romano?” gli viene chiesto in aula. La propensione di Markiv a mentire si palesa subito quando si scopre dai profili social dei militari in foto, che almeno due di loro hanno palesi simpatie naziste.

Ma ci sono altre foto recuperate nei suoi dispositivi, le quali ritraggono il soldato Markiv mentre fa il pollice in alto con un prigioniero incappucciato in macchina e foto di un prigioniero incappucciato che viene prima caricato nel portabagagli con una catena al collo e poi gettato in una fossa in quella che sembra proprio un’ esecuzione. Crimini di guerra che ricalcano perfettamente ciò che viene rivelato nei rapporti delle varie organizzazioni esperte in diritti umani (da ONU a HRW all’OSCE) nei riguardi delle forze armate ucraine.

Nel rapporto ONU del 2014 si legge “sale a 4.707 morti e 10.322 feriti il bilancio del conflitto. Presentando il rapporto l’assistente del segretario nazionale ha ammesso che il servizio di sicurezza ucraino SBU è responsabile di centinaia di detenzioni illegali e torture e parla di sistematico disprezzo di Kiev per i diritti umani”. Nel rapporto ONU del 2016, 13° rapporto sui diritti umani in Ucraina, si parla di detenzione illegali, torture, e assenza di accesso ai meccanismi reali di protezione legale.

Che la Guardia nazionale d’Ucraina e l’esercito ucraino commettano crimini contro l’umanità è confermato anche da molte decisioni dei tribunali e delle corti d’appello italiane in relazione a richiedenti asilo ucraini disertori. In queste decisioni, che riconoscono la protezione internazionale per i disertori ucraini rifugiatisi in Italia, viene scritto: “ritornando al caso concreto appare plausibile, tenuto conto di tutte le circostanze sopra esposte, che il ricorrente inviato a prestare il proprio servizio militare nel conflitto del Donbass, possa essere coinvolto, seppure anche solo indirettamente, nella commissione di crimini di guerra di cui l’esercito ucraino si è macchiato e continua tuttora a macchiarsi nei confronti dei cosiddetti separatisti, di prigionieri e della popolazione civile. Il rifiuto a prestare il servizio militare è solo un mezzo per il ricorrente per evitare la partecipazione a tale conflitto e quindi per evitare di commettere crimini di guerra” (Tribunale di Genova 3 febbraio 2018, nello stesso senso Corte d’appello di Genova sentenze 1034 e 124 del 2019).

Nelle intercettazioni in carcere del 17/7/2017 Markiv a proposito delle torture immortalate nei suoi dispositivi, dice: “Poi hanno tirato fuori delle foto del 2015 2016 dicendo ecco avete le foto dei separatisti con le catene al collo, realmente c’era la foto così ma non l’ho scattata io me l’hanno inviata. Avevamo catturato un separatista che metteva le bombe sotto le strade è stato catturato sul fatto, è stato dimostrato che nella borsa aveva le granate e tutto. Loro hanno detto che non è un comportamento umano, ma se questo non è umano allora guardiamo il tutto del conflitto nel tutto della guerra stessa sono riuscite a percepire cosa sta accadendo in Ucraina?”

E ancora, dalle intercettazioni si scopre che il soldato Markiv è un frequentatore di locali dell’estrema destra neonazista ucraina. Indovinate? Ma certo, ci andava solo qualche volta, dice, e poi non è mica un locale nazista. Se non fosse che il locale è completamente tappezzato da simboli delle SS, croci celtiche e bandiere di tutti i battaglioni neonazisti che operano nel Donbass.

Anche nei confronti delle donne, il sergente non sembra portare molto rispetto: parlando di una sua collega Markiv così si esprime “Appena apre bocca questa realmente vorresti prendere una tanica di benzina e bruciarla, farle prendere la scossa, oppure metterle un proiettile nel c*lo e mandarla dall’altra parte finché non apre la bocca. Bisogna educare”.

RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO

Markiv non è un semplice soldato di leva, si è arruolato volontariamente nella Guardia nazionale dell’Ucraina nel 2014, quando il governo ucraino decise di avviare l’ATO, Operazione Anti-Terrorismo, contro popolazioni dell’est del paese, cosiddetti ribelli filo russi.

Insieme a un numero imprecisato di altri soldati della Guardia nazionale e dell’esercito ucraino (circa 40 della Guardia nazionale e un centinaio dell’esercito), si trovava arroccato dentro una base posta sopra una collina di circa 100 metri di altezza, chiamata “Karachun”, che dava sulla città di Sloviansk, occupata dalle milizie ribelli e dove la popolazione civile – 120 mila persone – non era stata sfollata. Dalla collina potevano tenere sotto controllo la città e potevano colpire bersagli con armi da fuoco e mortai per diversi chilometri.

Esercito ucraino spara colpi di mortaio dal Karachun

Il gruppo di giornalisti è composto da Andrea Rocchelli, il russo Andrei Mironov e il francese William Roguelon, i quali alloggiavano in un hotel nei dintorni. Andrea, Andrei e William sono giornalisti molto esperti e cauti. Sono dei veri professionisti e infatti filmano e scattano fotografie fino alla fine e documentano così anche la presenza del cosiddetto “quinto uomo” che per un po’ la giustizia ucraina ha negato esistesse. Andrea e Andrey documentavano come vivevano i civili sfollati sotto i bombardamenti e fotografavano i colpi di mortaio sui vagoni nei pressi della fabbrica Zeus, per dimostrare la provenienza dei colpi che colpivano i civili.

Il 24 maggio 2014 Andrea, Andrei e William in abiti civili, con le macchine fotografiche al collo, si spostano su un taxi verso la ferrovia, dove i ribelli avevano posizionato in quei mesi dei vagoni per proteggersi dai colpi che provenivano dalle truppe filo-governative sul Karachun, vicino alla fabbrica “Zeus”, un edificio che era stato trasformato in una base dai ribelli, come testimonierà Mykola Balan, vice-comandante della Guardia nazionale. Volevano scattare foto e documentare i danni dei bombardamenti d mortaio delle truppe filo-governative ucraine, che avvenivano in genere la notte, mentre di giorno la situazione era più tranquilla.

[Foto di William Roguelon, carrozze bersagliate dai bombardamenti delle truppe filo-governative sul Karachun]

Mentre scendono dal taxi per fare delle foto, sono presi di mira da colpi d’arma da fuoco. Il gruppo si rifugia in un fossato, per proteggersi dai colpi che vengono dal Karachun. Il tassista abbandona di corsa il veicolo e si unisce al gruppo di giornalisti. Un quinto uomo, che era sbucato da un cespuglio e li aveva avvertiti dell’attacco gridando “sniper!”, si getta insieme a loro nel fossato. A quel punto vengono bersagliati con l’artiglieria pesante con 20 – 30 colpi di mortaio, ogni colpo arrivava sempre più vicino al punto dove erano nascosti, in quanto a ogni impatto veniva corretto il tiro del mortaio. Gli ultimi colpi investiranno Andrea Rocchelli e Andrei Mironov, uccidendoli. Mironov verrà letteralmente decapitato.

Dalla testimonianza di William (che viene riportata dalla traduttrice in terza persona): “.. i primi colpi di mortaio sono caduti. Uno piuttosto lontano. Poi più ravvicinato. Il terzo ha colpito la macchina. Lì, in quel momento ha capito con la sua esperienza e grazie allo stage che aveva fatto coi giornalisti in zona di guerra, che avevano voluto sopprimere il loro mezzo di fuga, che era la macchina. Ha urlato che dovevano allontanarsi dal veicolo. Sono tornati verso il treno. Si sono fermati a metà del fosso. Altri due o tre colpi di mortaio sono caduti vicino alla macchina. Si sono fermati questi mortai, questi colpi di mortaio per circa un minuto. Dopodiché è arrivata una serie di colpi di mortaio. Lui li ha contati. E ne cadeva uno circa ogni sei secondi. Il primo è arrivato nel fosso vicino al treno. E, mano mano questi colpi di mortaio si avvicinavano di volta in volta nel fosso. Erano dei colpi precisi perché colpivano esattamente il fosso. Ogni 10-15 metri di distanza l’uno dall’altro. È stato il primo ad essere ferito… Si sentivano fischiare da molto lontano, paralizzava il corpo e le emozioni. Strappava il cielo per circa 4 secondi. E sembrava che gli cadesse sulla testa… Ogni volta che cadeva un colpo di mortaio, quello che sentiva lui, rimanevano storditi. Ed appena sentivano cadere un colpo di mortaio la loro reazione era quella di rientrare la testa nelle spalle… Lui ha contato i mortai fino a dieci, si è fermato dopo 10. Pensa che ne abbiamo ricevuti 20-30… Pensa di essere stati presi per bersaglio, come bersaglio. Le foto sue e di Andrea dimostrano che erano allo scoperto. E secondo lui c’è stata volontà di uccisione. Hanno soppresso la macchina. Non ci sono stati spari di avvertimento e hanno voluto ucciderli nel fosso a colpi di mortaio.”

Roguelon, invia subito le coordinate Gps a dei colleghi e li avverte dell’attacco, poi riesce a fatica ad allontanarsi dal luogo del bombardamento, seppur ferito gravemente a una gamba. Incontra un gruppo di ribelli che si stava avvicinando al luogo del bombardamento, i quali gli intimano di andarsene da quella zona, sparando in aria. Ferito, riuscirà a salire su una macchina che passava di lì. L’auto, mentre si allontana, verrà nuovamente presa di mira da colpi d’arma da fuoco esplosi dalla collina, riuscendo infine ad allontanarsi e mettersi al sicuro.

MANCATA COLLABORAZIONE E INTERFERENZE DELLO STATO UCRAINO

[A sinistra Anton Gerashchenko, consigliere del ministro degli interni Arsen Avakov, sulla destra]

Lo Stato ucraino non ha mai collaborato seriamente con le autorità giudiziarie italiane. Il primo sopralluogo sul Karachun viene fatto 6 mesi dopo l’omicidio, nel novembre 2014,  ed è durato in tutto 20 minuti. Lo zaino di Andrea Rocchelli sarà recuperato dai suoi genitori nel 2016, che per conto proprio torneranno a Sloviansk per vedere il luogo dove il figlio stava svolgendo il proprio lavoro e dove è stato ucciso.

Le autorità ucraine ascolteranno testimoni irrilevanti e non rintracceranno mai il quinto uomo, lo sconosciuto, non verranno mai forniti i turni della guardia nazionale sulla collina. Verrà data risposta alla rogatoria italiana con grandissimo ritardo, solo nel 2016, e in una lingua incomprensibile. Quando finalmente viene fissato un incontro virtuale con la procura di Pavia e quella ucraina in presenza anche della famiglia Rocchelli, chi parteciperà per la procura ucraina sarà un tale Kovalenko che sparirà e ad oggi non si sa ancora quale sia la qualifica di tale persona nè se sia realmente esistita.

Trabalza, primo segretario dell’ambasciata italiana in Ucraina testimonierà: “Forse a maggio 2016 è stato organizzato dalle due procure una teleconferenza, presente se non sbaglio anche la famiglia di Andrea Rocchelli… [con il dott. Kovalenko] Per concludere il ragionamento si è arrivati a stabilire questo contatto non senza ripetute sollecitazioni fatte anche dall’ambasciatore nei confronti dei suoi interlocutori politici ed è stato difficoltoso lì per lì effettivamente individuare la persona che all’interno della procura potesse essere un adeguato interlocutore…” A domanda del pubblico ministero “per lei quindi il dottor Kovalenko era un magistrato” Trabalza risponde “diciamo la sua qualifica… Capo delle relazioni internazionali della procura generale, può fare intendere che si trattasse di un magistrato…” Alla domanda del pubblico ministero se Trabalza avesse mai incontrato Kovalenko, Trabalza risponde di no.

Anche l’ambasciatore Romano sentito nell’udienza del 12 aprile 2019 è costretto ad ammettere che i risultati delle indagini ucraine non sono stati particolarmente concludenti.

La resistenza da parte delle autorità ucraine a collaborare viene testimoniata anche dal Tribunale di Sloviansk, che con decisione del 6 luglio del 2016 condanna l’Ucraina per violazione dell’articolo 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, su denuncia dell’avvocato Pisarec, nominato dalla famiglia Rocchelli, riconoscendo come “Illegale l’inattività dell’investigatore nei confronti dell’indagine preliminare nel procedimento penale per il fatto di omicidio intenzionale […] Per violazione dei limiti di tempo ragionevole nell’indagine preliminare per azione dei limiti di tempo ragionevole allo svolgimento al sopralluogo”.

Non finisce qui, le autorità ucraine si rifiutano di fornire le schegge estratte dal corpo di Andrea Rocchelli. Perché non le vogliono fornire? Forse perché la difesa sta tentando di escludere che i giornalisti siano stati attaccati con colpi di mortaio? Eppure dalla perizia medico-legale italiana risulta che Rocchelli sia morto a causa di “lesioni da esplosione di un ordigno e interessamento del corpo da parte di schegge. Grave lesività al collo e al polmone destro”. Per fugare ogni dubbio, in questi giorni, sono state fornite dalle autorità francesi le schegge trovate nella gamba di William.

Scheggia ritrovata nelle gambe di William Roguelon

GLI ALTRI GIORNALISTI

Francesca Volpi dichiara come tre colleghi fotoreporter fossero stati presi di mira dagli ucraini appostati sulla collina della TV 2 “Fauci Marcello mi riferiva di trovarsi (Markiv ndr) sulla collina dell’antenna radiotelevisiva e di come avesse avvisato di non recarsi in loco ai giornalisti, in quanto sparavano su tutto quello che si muoveva fino a 2 chilometri”

Morani, che sappiamo che dice la verità perché l’Ordine giornalisti non ha aperto nessun procedimento contro di lei, testimonia: «Okay. Allora, abbiamo chiesto al nostro “informatore” se aveva notizie di quello che era accaduto il giorno precedente. Questa persona ha riferito… e gli abbiamo chiesto dove fosse, se era a Kiev, perché insomma i militari vengono spostati spesso. E spesso non posso neanche dire dove si trovano. E ci ha detto che lui era sul posto, cioè sulla torre, nei pressi della torre della televisione di Sloviansk, e di lasciare perdere, che non era un posto dove bisognava andare, era un posto pericoloso, che loro come militari sparavano a qualsiasi cosa si muovesse nell’area circostante, nel raggio di 1-2 chilometri – adesso non ricordo -, ed era accaduto lo stesso anche quando avevano visto la macchina che portava il giornalista ed il traduttore… ADR Sì. Sì. Lui parlava di, se non ricordo male, parlava di “miei uomini”. Nel senso di un gruppo di persone… ADR Okay. Sì, che fosse un “Superiore” rispetto ad altre persone, sì, abbiamo avuto questa impressione insomma…»

Questo l’articolo pubblicato sul Corriere.it «Abbiamo raggiunto al telefono un capitano dell’esercito che in quel momento era sulla torre a coordinare la difesa della città. “Qui non si scherza, non bisogna avvicinarsi: questo è un luogo strategico per noi”, ha raccontato il militare. Normalmente noi non spariamo in direzione della città e sui civili, ma appena vediamo un movimento carichiamo l’artiglieria pesante. Così è successo con l’auto dei due giornalisti e dell’interprete. Noi da qui spariamo nell’arco di un chilometro e mezzo. Qui non c’è un fronte preciso, non è una guerra come la Libia. Ci sono azioni sparse per tutta la città, attendiamo solo il via libera per l’attacco finale».

  • Fauci, dopo aver letto articolo Morani testimonierà: “Sì, più o meno è quello che ricordo pure io della conversazione…”
  • Domanda del PM: “Lui sapeva che c’erano dei giornalisti morti?”
  • Fauci risponde: “Credo di si: Credo di si”
  • PM “Aiuto la sua memoria leggendo, traggo da pagina tre del verbale 10 giugno 2017 ultima parte «lui mi disse che in quella giornata era attestato sulla collina e che da quella posizione lui e i commilitoni avevano sparato contro ogni cosa che si muoveva. Aggiungeva che era conoscenza del fatto che vi fossero state delle vittime. Mi consigliava caldamente di non recarmi in loco». Questo lo ricorda?
  • Fauci: “Sì, questo me lo ricordo.”

Ci sono anche le testimonianze di Andrea Carruba, anch’egli fotoreporter. Dichiarerà di essere stato nello stesso posto dove è stato ucciso Rocchelli, ed era stato preso a colpi di artiglieria pesante dalla collina Karachun delle truppe filo-governative ucraine mentre parlava con i miliziani ribelli. La carrozza del treno lo ha protetto dalle schegge prodotte dalle esplosioni.

 

ACCUSE AI RIBELLI

Ci sono diverse argomentazioni, sollevate dalla difesa di Markiv, con cui si cerca di togliere dai guai il sergente. Una di queste è che il gruppo di giornalisti possa essere stato colpito dai ribelli, anziché dalle truppe filo-governative.

Per smontare questa tesi ci pensa la distanza di tiro di sicurezza con il mortaio: se i giornalisti, nascosti in quel fossato, fossero stati bombardati da un mortaio posizionato nei pressi della base dei ribelli, la fabbrica Zeus, i ribelli sarebbero stati investiti dalle       esplosioni dei propri colpi. Inoltre il fossato non proteggeva il gruppo di giornalisti dal lato della fabbrica Zeus, quindi se i ribelli avessero voluto ucciderli, gli sarebbe bastato usare le armi automatiche molto più precise e adatte al tiro da breve distanza.

Ma ci sono anche tante testimonianze che smontano la versione fornita dalla difesa di Markiv, per esempio quelle dei superstiti, come quella di William Roguelon, il quale dichiarerà che i colpi venivano dal Karachun, e che non avevano mai avuto problemi con i ribelli, che anzi, il gruppo era benvoluto. La corte d’appello di Bordeaux del 18 ottobre del 2018, con decisione confermata dalla cassazione francese il 27 giugno del 2019, in relazione alla richiesta di risarcimento al fondo di garanzia per giornalisti intentata da William, afferma: “pertanto l’esercito ucraino ha sparato senza preavviso su Roguelon e i suoi compagni, prima con fucili, quindi, senza che fosse opposta alcuna resistenza, con mortaio, la cui mira sempre più precisa verso i cinque uomini ha rivelato l’intenzione di uccidere.“

E ancora, c’è la testimonianza inequivocabile del tassista del 26 maggio 2014: “i tre sconosciuti sono saliti sulla mia automobile, dopodiché li ho portati alla fabbrica Zeus. Sono usciti dall’automobile e mi hanno chiesto di aspettarli. In quel momento sono cominciati gli spari che provenivano dalla parte del Karachun”.

La testimonianza di Andrea Carruba, un altro fotoreporter che si trovava in quei luoghi, conferma il fatto che non possono essere stati i ribelli. Per prima cosa egli dichiarerà di essersi recato già 5 volte sui binari e che mentre stava parlando con i ribelli è stato preso di mira dalla collina. Successivamente all’assassinio di Rocchelli, è lui che cerca di convincere i ribelli a chiedere una tregua alle truppe filo-governativi per recuperare i corpi dei giornalisti. I ribelli gli risposero che se le truppe filo-governative continuano ad aprire il fuoco sulla zona era meglio non avvicinarsi. Recuperarono infatti i corpi solamente la notte, per non finire sotto i bombardamenti. A seguire le parole di Carruba: “Referenti nostri erano le forze fondamentalmente filorusse che stavano… che presidiavano un po’ tutto, che regolavano un attimino la situazione sia dentro all’Ospedale che fuori; si mostravano come persone che volevano aiutarci, non hanno mai messa questa cosa in dubbio, e continuavano a dire «Se noi non abbiamo la certezza che le forze ucraine non aprono il fuoco contro di noi, noi non possiamo mettere a rischio altre vite per andare a cercarli»”.

E ancora, un’altra testimonianza importante, quella di Maiocchi, proprietario della fabbrica Zeus, queste sono le sue affermazioni a verbale dell’udienza 23/11/2018: “I colpi di mortaio venivano sparati dalla collina contro la Zeus”

LE TESTIMONIANZE CONTRASTANTI DI MARKIV E DEI COMMILITONI

Poco convincenti sono apparse le dichiarazioni, contrastanti fra loro di Markiv e dei commilitoni. Infatti, al contrario di quanto affermato da alcuni di loro, dalla collina Karachun i guardiani hanno piena visibilità, perché i vagoni sono completamente sventrati e la vegetazione è stata in gran parte disintegrata dai bombardamenti. In più ci sono 95 m dislivello e da quell’elevazione si vede bene, lo stesso Markiv in una intervista del 2015 a un giornalista ucraino sulla collina si vanta di riuscire addirittura a vedere la barba dei filo russi che si trovavano al passaggio a livello della ferrovia.

I testi ucraini e Markiv non sanno indicare il numero delle loro postazioni, le quali variano da 3 a 7 a seconda del testimone.

Anche sul momento in cui si è avuta notizia dell’omicidio dei giornalisti c’è la massima confusione: alcuni soldati dicono che l’hanno saputo subito dopo, altri solo dopo l’arresto di Markiv nel 2017, altri ancora dicono di averne avuto notizia solo in occasione della convocazione per testimoniare: dichiarazioni inverosimili, visto che la notizia dell’uccisione di Rocchelli aveva avuto larga e immediata eco, anche perchè c’era stata una sorte di cessate il fuoco per permettere il recupero dei corpi.

Markiv aveva nel suo equipaggiamento le radio, nonostante le radio fossero pochissime lui ne aveva almeno due. Con una comunicava con la guardia nazionale e con l’altra con l’esercito, anche se lui dice che l’altra gli serviva per intercettare i terroristi, ma è una clamorosa bugia perché non lavora per l’intelligence.

Sulla collina ci sono i mortai, anche se il ministro Avakov in un incontro con l’ambasciatore italiano il 7/7/2017 – subito dopo l’arresto di Markiv – sostiene che “[Markiv] non poteva usare un mortaio, dal momento che la Guardia Nazionale nel maggio 2014 non era armata con mortai e altre armi di dimensioni e potenza simili” in quanto tutto il materiale poteva essere trasportato sulla collina solo in elicottero e i mortai sarebbero stati troppo pesanti. Sarà l’avvocato della parte civile Tizzoni a spiegare che invece alcuni mortai si smontano in tre pezzi e che si possono portare anche a spalla.

Markiv mente in continuazione. Prima prova a dire che non era sulla collina, poi dice che la postazione dove lui stesso si è immortalato con video e selfie dal suo cellulare, e da dove si vede benissimo il luogo della strage, non era la sua postazione. Poi dice che dormiva, poi che era in bagno, poi che non riusciva e vedere la zona sottostante la collina, che non poteva girare la testa, che non aveva le radio ecc…

Nessuno dei testi ha mai fornito i turni di servizio della guardia nazionale del 24 maggio 2014 né gli ordini.

La sua di difesa sostiene che lui è onesto e che dobbiamo fidarci di lui poiché ha dei valori, ma sostiene anche che è un millantatore e che quando dice che è un comandante mente.

Markiv non si è mai assunto le sue responsabilità e non ho mai detto chi gli ha dato l’ordine di concorrere nell’omicidio di civili, “di sparare a tutto quello che si muove”.

In particolare la Procuratrice Generale della corte di Assise d’Appello di Milano nell’udienza del 15 ottobre u.s. evidenzia queste contraddizioni dei testi ucraini:

Sarakhman, soldato guardia nazionale:

  • Dichiara che Markiv poteva vedere solo la vegetazione
  • Dichiara che nel video trovato nei dispositivi dell’imputato si vede la propria postazione e che Markiv era lì solo per caso
    Altri commilitoni affermeranno che invece è proprio quella la postazione di Markiv.

Vendiuk, comandante:

  • Avevano a disposizione solo fucili d’assalto e non mortai.
    Ciò viene smentito dalle carrozze del treno, che erano usate dai ribelli proprio per difendersi dai bombardamenti dal Karachun. Nelle foto di Roguelon, precedenti all’attacco ai giornalisti, le carrozze appaiono praticamente già sventrate da colpi di mortaio.
  • Dalla postazione di Markiv non si vedeva la fabbrica Zeus, luogo dell’assassinio.
    Dai video girati da Markiv la Zeus si vede benissimo.
  • Viene a conoscenza della morte di Rocchelli nel 2017, 3 anni dopo.
    Il soldato Sarakhman dichiara di averlo scoperto il giorno dopo l’attacco.
  • Solo lui e il vicecomandante potevano comunicare con l’artiglieria.
    Markiv nelle foto ha addirittura tre radio.

Balan, vice-comandante:

  • Viene a conoscenza della morte di Rocchelli nel giugno 2014, 1 mese dopo.
    Il soldato Sarakhman dichiara di averlo scoperto il giorno dopo l’attacco.

Vasyl, soldato semplice:

  • Markiv non poteva vedere la fabbrica Zeus.
    Dai video girati da Markiv la Zeus si vede benissimo.
  • Potevano solo rispondere al fuoco nemico e mai attaccare per primi.
    Le dichiarazioni di Carruba smentiscono categoricamente quest’affermazione: i giornalisti erano stati già attaccati precedentemente in 5 episodi differenti.
  • Viene a conoscenza della morte di Rocchelli nel 2017, 3 anni dopo.
    Il soldato Sarakhman dichiara di averlo scoperto il giorno dopo l’attacco.

 

Vitaly Markiv:

  • Alla domanda sui chiarimenti circa la foto con la bandiera nazista sollevata dai suoi commilitoni, afferma che era un cimelio sottratto ai ribelli.
    I profili social dei suoi commilitoni in foto, sono pieni di contenuti inneggianti al nazismo.
  • Alla domanda sul perché si trovasse nella posizione che dava sulla fabbrica Zeus prima dichiara che era lì “per caso”, poi “non rispondo”, poi “dovevo andare in bagno”
    Altri commilitoni affermeranno che invece è proprio quella la postazione di Markiv.
  • Sostiene che hanno ricevuto i mortai nel giugno 2014, un mese dopo l’attacco.
    Ricordiamo le foto di Roguelon, le carrozze appaiono già sventrate da colpi di mortaio.
  • Non avevano visibilità perché stavano chiusi in trincea.
    Ricordiamo ciò che dice Markiv nell’intervista del 2015, egli riesce a vedere la barba dei filo-russi trincerati dalla fabbrica Zeus. Il soldato semplice Vasyl invece dichiara che potevano riconoscere le auto civili.
  • Dichiara che aveva un sola radio e solo quando era in sorveglianza attiva.
    Nelle foto risulta che ne ha talvolta addirittura tre.
  • Dichiara che non attaccavano i civili e potevano solo rispondere al fuoco.
    Di nuovo, la testimonianza di Carruba smentisce quanto affermato. E Markiv stesso conferma che “i civili con un telefonino in mano sono considerati nemici perché “possono essere terroristi”.
  • Prima afferma che il suo campo d’azione era la città di Sloviansk – dove si vedeva il luogo dell’omicidio -, poi si corregge e dice che è il villaggio di Andreevka, ma che comunque “Sloviansk  e Andreevka sono attaccati, sono un villaggio”
  • Sostiene che il laringofono, uno strumento particolare che si usa per comunicare in ambienti rumorosi, lo usavano tutti e solo di notte.
    Nel video invece risulta averlo solo lui e di giorno.
  • Sostiene che solo lui aveva il laringofono, perché agli altri commilitoni dava fastidio.
    Dichiarazione poco credibile.

IN CARCERE E LE INTERCETTAZIONI

Markiv comanda anche in carcere e infatti è lui che organizza un piano di evasione che prevedeva all’uccisione di una guardia alla quale doveva essere conficcata una penna nella giugulare (come testimonia il Comandante della Polizia penitenziaria Napolitano a  verbale udienza del 25/1/2019)

Markiv non pensa mai di assumersi le sue responsabilità ma pensa solo a come farla pagare ai suoi nemici. Oltre al piano di evasione significative sono le sue intercettazioni in carcere. Il 1 luglio 2017 parla del suo arresto e dice “Viene voglia di menarli, con bellezza, senza vasellina, direttamente, fino a non volerne più” e nell’ambientale del 3/7/2017 dice: “io dopo questa cazzata se mi lasciano andare mi compro il kalashnikov e la pistola e che vadano tutti affanculo… Io mi difenderò non si sa mai se i carabinieri vorranno venire da me sparo a tutti!”

Secondo Markiv, Andrea, Andrei e William si sono buttati nella fossa dei leoni (Ambientale carcere del 5/7/2017):  “Se una persona per esempio arriva lì da sola e la guida gli dice di non andare lì perché lì ci sono i leoni e rischiate che vi sbranino e la persona sceglie da sola se andare o no, se va e un leone lo sbrana, cos’è lo portate in Tribunale? Stessa cosa se una persona si mette sulla mina ed esplode, cosa fate? Cercate chi ha messo quella mina? Quella persona doveva essere avvisata che quella zona era pericolosa! Stessa cosa nel nostro caso. Quindi l’autista e le persone che si trovavano lì o i giornalisti, io sono sicuro al mille per mille che sono stati avvisati che lì c’erano continuamente delle azioni combattive ma ci sono andati lo stesso.”

E si stupisce che non si possa sparare sui civili e sulle loro vetture. Nell’intercettazione ambientale del 4 luglio 2017 dice: “Ah, perché, non si può sparare sulle macchine dei cittadini!? Se voi non capite qual è la situazione, come si sviluppa il processo stesso della guerra nel nostro paese…”

Markiv sa come è morto Andrea e non se ne dimostra minimamente affranto: “Capisci? Ci hanno convocati, siamo arrivati, cazzo, sparato quello che si doveva e andati… Credo che ci abbia messo tanto a morire perché inizialmente c’erano le schegge e le schegge rompono la carne, la pelle e tutto il resto. Stupidamente strappano… Non ha avuto fortuna. I consoli mi hanno detto che contro di lui è aperto un caso, cazzo, perché loro tipo non avevano il diritto di trovarsi in quella zona…” (intercettazione ambientale numero 60 del 3 luglio del 2017)

E sempre in cella l’imputato afferma (intercettazione ambientale in carcere del 5/7/2017) “I consoli mi hanno detto che contro di lui (Rocchelli) è aperto un caso perché loro tipo non avevano il diritto di trovarsi in quella zona in quel tempo”.

Markiv sa cosa è successo e aveva un presentimento circa il suo arresto: “cazzo, avevo qualche presentimento in aereo…” (intercettazione in cella a Pavia)

E nelle Intercettazioni in carcere del 2/9/2017, sala colloqui casa di reclusione di Milano, si sente Markiv dire: “Qua ci sono delle prove sicure mamma, chi ero in quel momento, cosa facevo io… ma quale processo? Come se non sapessimo quanto ci si mette per un processo. Ci sono le prove! Chi ero… non avete capito in che situazione mi sono cacciato. Voi non avete proprio idea.”

REAZIONI DALL’UCRAINA

[Manifestazione dei nazionalisti ucraini sotto l’ambasciata d’Italia a Kiev]

All’indomani dell’arresto di Markiv il ministro degli interni Arsen Avakov convoca l’ambasciatore e gruppi di nazionalisti ucraini organizzano proteste davanti all’ambasciata italiana a Kiev. È cosa nota che il ministro Arsen Avakov abbia contatti con l’estrema destra ucraina, alla quale addirittura affida la gestione di diversi dipartimenti di polizia.

 

Lo stesso succede dopo la sentenza di condanna di primo grado. Il 12 luglio 2019, Zelenskij ha incaricato il Ministero degli Affari Esteri e l’Ufficio del Procuratore Generale di riportare in patria l’ucraino condannato. Circa 300 persone hanno protestato venerdì sera presso l’Ambasciata italiana a Kiev, chiedendo di cancellare la sentenza. La manifestazione è stata organizzata dal partito di estrema destra Pravyj Sektor e da altre formazioni ultranazionaliste ucraine. In precedenza, il deputato al parlamento ucraino ed ex leader di Pravyj Sektor, Dimitro Jaroš, ha proposto di imprigionare “una dozzina di italiani” che si trovano in Ucraina per ritorsione contro la condanna di Markiv.

Articolo 21 Lombardia così commentava queste proteste: “Apprendiamo con profonda amarezza delle manifestazioni, di fronte all’ambasciata d’Italia a Kiev, di alcuni gruppi ultranazionalisti nel corso delle quali il miliziano è stato sostenuto, difeso e celebrato come un eroe nazionale. Manifestazioni che bollavano l’inchiesta della Procura di Pavia e dei ROS – per nulla facilitata dalla scarsa collaborazione delle autorità ucraine – come figlia di una operazione politica dettata da Mosca.

Provocazioni che hanno un solo obiettivo: gettare nuovamente la vicenda di Andrea ed Andy, testimoni della sofferenza della popolazione durante la guerra civile, tra le nebbie che l’hanno avvolta per tre anni. Ci affianchiamo con forza, come abbiamo fatto in questi mesi seguendo ogni sviluppo della vicenda, alla battaglia civile della famiglia Rocchelli e di William Roguelon, il fotoreporter francese sopravvissuto all’attacco che recentemente ha scelto di associarsi alla causa italiana: verità e giustizia per Andrea ed Andrej. In difesa della loro memoria di cronisti appassionati, e per ribadire il principio che più di tutti ci ispira: la libertà di espressione, il dovere di informare, il diritto dei cittadini ad essere informati.”

LA LISTA NERA

Myrotvorets (“Il Pacificatore”) è un sito curato dall’agenzia governativa d’intelligence ucraina (SBU), promossa da Anton Gerashchenko, il consigliere del ministro degli interni Arsen Avakov, presente anche durante alcune udienze del processo, per fare comizi contro la detenzione del sergente Markiv. In questo sito vengono schedati tutti coloro che il governo dell’Ucraina considera terroristi, nemici dello Stato. Il sito operava dal 2014, ma solo nel 2016 divenne celebre in tutto il mondo per aver pubblicato nomi, cellulari, passaporti, indirizzi e-mail, di circa 4 mila giornalisti accreditati nei territori sotto il controllo dei ribelli. Ebbene in questo sito figurano anche Andrea e Andrei, con i loro dati, e con una scritta in cirillico rossa sopra le loro foto: “Liquidati”. Sulla scheda di Andrei Mironov vi è indicato il paese di provenienza: “Russia”, con un’animazione raccapricciante dove viene rappresentato del sangue che cola dalle lettere. William pure, è lì presente e ritratto in una foto con Rino il papà di Andrea, ancora da “liquidare” però, per loro sfortuna.

 

Non si tratta di un errore, lo ribadisce il consigliere Gerashchenko: “Ci sono veri giornalisti e ci sono persone con un tesserino giornalistico… In realtà, questi non sono affatto giornalisti, ma soldati della guerra di propaganda russa, quindi sono nella lista del “Mirotvorets”. Tutti coloro che hanno fatto articoli contro l’Ucraina sono in questa lista. Hanno mostrato al mondo intero una bugia secondo cui l’esercito ucraino è un mostro.”

INTERFERENZE E ATTACCHI

Di asseriti pregiudizi della magistratura nei confronti di Markiv, e addirittura di falsi, si lamenta l’avvocato Della Valle facendo anche riferimento a rumors e voci che mettono in dubbio la terzietà della Corte, e verrà perciò ammonito dalla Presidente della Corte di Assise di Appello perché si tratta di “rumors e pregiudizi di cui non abbiamo capito il senso e la provenienza che sono oltraggiosi per la Magistratura italiana”.

Dal giorno dell’assassinio di Rocchelli e Mironov sono ben pochi coloro che prenderanno a cuore la tragica vicenda. Improvvisamente però, non appena il sergente Markiv viene tratto in arresto nel 2017, dall’Ucraina cominciano a vedersi le prime reazioni del ministro degli interni Avakov, che da subito sostiene l’innocenza di Markiv. Non è però solo l’Ucraina a reagire, anche in Italia, soprattutto dopo la condanna in primo grado a Markiv, diversi militanti dei Radicali Italiani cominciano a tenere conferenze e a promuovere un documentario intitolato “The Wrong Place”, di un gruppo di giornalisti tra cui Cristiano Tinazzi, il regista, e la giornalista ucraina Olga Tokariuk. Secondo i registi la verità sarebbe stata calpestata nelle aule di tribunale.

[Post di Tinazzi il giorno dopo la sentenza di primo grado]

I quattri registi, che all’inizio dei lavori incontreranno subito l’avv. della Difesa e immortaleranno l’incontro su Facebook, si dichiarano tuttavia indipendenti.  Definiscono vergognosa la magistratura italiana, e la FNSI  e si prefiggono l’obiettivo di ricostruire la dinamica dell’assassinio di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov. Il titolo del film che svela i pregiudizi dei registi non avrà molto successo: l’allusione palese al fatto che quei giornalisti si trovassero nel posto sbagliato, è rivelata subito offensiva non solo per le famiglie delle vittime ma per l’intera categoria di chi fa informazione in contesti difficili.

La campagna di crowdfunding di Tinazzi per finanziare il suo film d’altronde inequivocabilmente riportava: “In guerra, i giornalisti, soprattutto i freelance, troppo spesso mettono a rischio la loro vita per fare e vendere le proprie storie. A volte si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato e finiscono per pagare con le loro vite”.

Il titolo è stato cambiato qualche giorno dopo la discussione dell’avv Ballerini (legale della famiglia Rocchelli) in “Crossfire”, fuoco incrociato, per alludere a possibili responsabilità dei ribelli filo-russi.

Il regista: Tinazzi è stato candidato nel 1999 nelle liste del Fronte Nazionale, partito neofascista di Adriano Tilgher, e ora nel suo documentario si muove in un poligono di tiro della Guardia nazionale dell’Ucraina, una delle formazioni militari ucraine, che ha la particolarità di aver integrate al proprio interno formazioni neonaziste come il Battaglione Azov.

Il documentario, a quanto viene raccontato nelle presentazioni, avvenute anche in luoghi istituzionale italiani e organizzate dal Partito Radicale, al quale si sono prontamente iscritti alcuni dei nazionalisti sostenitori di Markiv, conterrebbe delle “prove” che dimostrerebbero che dalla collina le truppe filo-governative ucraine non potevano vedere né colpire con armi da fuoco il gruppo di giornalisti.

Molte obiezioni a questo lavoro, dal punto di vista tecnico, sono già state sollevate. Ad esempio nelle prove a tiro, avvenute tutte in un lussuoso poligono della guardia nazionale con munizioni e armi fornite dalla stessa guardia nazionale (alla faccia dell’indipendenza!)  non hanno calibrato correttamente l’alzo delle armi, regolandolo per sparo a 300-400 metri mentre il bersaglio era a 1500 m con 95 metri di dislivello. Il dislivello di 95 metri influisce molto sulla parabola del proiettile: se in tiro lineare teso fa un certo percorso prima di cadere, con 95 metri di dislivello fa un altro percorso prima di toccare terra e ha un’altra gittata, di conseguenza. La prova peraltro è stata fatta sul tetto traballante di un camion le cui oscillazioni influiscono evidentemente alla buona riuscita del tiro.

 

Peraltro le ricostruzioni della sentenza di primo grado ribadite dal procuratore generale in Corte d’assise d’appello, l’assassinio sarebbe avvenuto indiscutibilmente per mezzo dei mortai e non si capisce quindi per quale ragione si facciano test balistici con armi da fuoco come gli AK-74 che hanno gittata e tiro utile decisamente inferiori.

Non solo, ma il documentario smentirebbe lo stesso ministro Avakov che si era trovato a dichiarare che, dalla collina dove erano posizionate le truppe filo-governative, i loro cecchini avevano “ripulito” la zona intorno alle carrozze del treno, luogo dove è avvenuto il duplice omicidio di Rocchelli e Mironov, confermando che dalla collina era possibile colpire a quella distanza persino con armi da fuoco, oltre che con i mortai.

Sarà sempre Avakov a dichiarare che un gruppo di giornalisti si è rivolto a lui per occuparsi del processo a Markiv, e che gli avrebbe fornito tutta l’assistenza necessaria. Nel documentario, gli autori non hanno mancato di ringraziare il ministro degli interni Avakov e la guardia nazionale Ucraina per la collaborazione. C’è un piccolo particolare che però non è sfuggito: i ringraziamenti a questi soggetti compaiono solo nella versione ucraina. Perché nasconderli nella versione italiana?

[Ringraziamento nei titoli di coda del documentario a Oles Horodetskyy, al Ministero degli interni (ministro Avakov), alla Guardia nazionale d’Ucraina e a Hromadske Tv]

Tra gli altri collaboratori del progetto c’è Olga Tokariuk che ha lavorato anche per Hromadske Tv, inserito anch’esso nei ringraziamenti del documentario. Questo canale televisivo ucraino è spesso posizionato dalla parte del governo, lo si nota quando tagliò la diretta con Tanya Lokshina, membro di Human Rights Watch, perché, incalzata dall’intervistatore, si rifiutava di accusare la Russia per i morti civili nella guerra del Donbass.

Olga Tokariuk si batte per la libertà di Markiv da luglio 2017 a oggi, rilasciando varie interviste in inglese, ucraino e italiano sulle “assurde accuse a Markiv”, oltre a scrivere  articoli pro-Markiv in “Hromadske” ancora prima del processo e della sentenza.

Il 17 dicembre 2018 scrive su facebook: “Markiv è un esempio di dignità per me. Tiene la testa sempre alta nonostante le assurde accuse. Questo processo è un test per la giustizia italiana e per tutti i partecipanti. Markiv lo passa con dignità. Così come gli ucraini con il loro potente sostegno durante ogni udienza”.

I registi non avevano ancora iniziato i lavori al film ma avevano già le idee chiare. Sempre la Tokariuk, durante la presentazione del documentario nella conferenza stampa a Kiev il 28.09.2020 afferma: “Nel nostro team italo-ucraino non abbiamo divergenze ideologiche […] Tinazzi sa molto bene che i separatisti sono criminali, che commettevano crimini nel Donbass […] lui sa bene chi è l’aggressore in Ucraina e chi è la vittima”. Lo scopo del documentario non era quello di ricercare la verità, senza pregiudizi?

Un altro personaggio collegato con il documentario, che viene anche ringraziato nei titoli di coda, è Oles Horodetskyy, presidente dell’Associazione cristiana degli ucraini in Italia. Lui è uno di quei nazionalisti di cui parlavamo prima, che si è tesserato con i Radicali Italiani nel 2019 – promosso rapidamente a membro del comitato nazionale -, proprio perché questi avevano a cuore la liberazione di Vitaly Markiv. Oles si fece riconoscere durante le udienze del processo perché suggeriva le risposte ai commilitoni di Markiv che erano stati chiamati a testimoniare, e per questi suggerimenti rimediò un’espulsione dall’aula. La questione che però è davvero interessante sono i rapporti che Oles ha con Anton Gerashchenko, il promotore della lista nera di cui parlavamo prima, nonché consigliere del ministro degli interni Arsen Avakov. I due infatti figurano spesso in foto insieme, e sempre insieme intervengono durante le presentazioni del documentario. Il consigliere di Avakov sta quindi promuovendo il cosiddetto “documentario indipendente”.

[A sinistra Horodetskyy e Tinazzi, a destra Horodetskyy e Gerashchenko]

Leggendo la lista dei patrocinanti si nota la Open Dialogue Foundation, una ONG che ha base in Polonia e che opera anche in Ucraina. Nel 2013 già supportava Euromaidan e tutt’ora supporta l’esercito ucraino. Leggiamo da un tweet: “Oggi è il giorno del difensore dell’Ucraina. Ricordiamo i soldati che dal 2014 sono stati in prima linea in Europa contro l’aggressione russa. Proteggono anche noi.”

Come ricordato da Graziella di  Mambro: «Il 29 settembre è iniziato a Milano il processo d’Appello per la morte di Andrea Rocchelli e nel giro di poche settimane si è alzato il livello di tensione condito da minacce esplicite contro il legale della famiglia, Alessandra Ballerini, nonché contro la Corte e il procuratore generale che sostiene l’accusa, Nunzia Ciaravolo.

Tra i post ce ne sono alcuni assai gravi: “Tutto acquistato dalla Russia, ha comprato questo tribunale, la nostra diplomazia senza spina dorsale non ha nemmeno trovato l’opportunità di trovarlo” e “mi dispiace per la testa malata del procuratore… al procuratore serve uno psichiatra”. Quello che sta accadendo attorno al processo d’Appello segue ciò che si era già visto di fronte alla sentenza di primo grado che ha condannato a 24 anni di reclusione Vitaliy Markiv per concorso nell’omicidio di Andy Rocchelli»

I signori Rocchelli, i loro legali, i magistrati, i giornalisti realmente indipendenti che si sono occupati dell’omicidio di Andrea e stanno subendo a loro volta attacchi e ingiurie, tutti loro, così come Andrea, non sono nel posto sbagliato. Sarebbe il caso di non lasciarli soli.

 


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