Flessibilità, complicità e mosaici da comporre. Il diario dei finalisti della 9a edizione del Premio Morrione

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È sera, il cielo si sta tingendo di rosso, il sole sta tramontando. Abbiamo mangiato un kebab veloce prima di partire alla ricerca di alcuni dei protagonisti nascosti della nostra inchiesta. Piazza Castello, la maestosa piazza simbolo di Torino, la mattina presto e la sera, è affollata dai garriti delle rondini. Sono quelle stesse rondini che presto lasceranno il freddo nord Italia e migreranno verso i paesi caldi. É così da più di 10mila anni. È un fenomeno inevitabile, una migrazione senza frontiere che collega territori ed ecosistemi distanti migliaia di chilometri. Alziamo gli occhi al cielo e il loro volo circolare sembra volerci dare la carica per andare avanti, per fare di più. Anche se il caldo è insopportabile e il tempo stringe.

Se tutto fosse andato secondo i nostri i piani, percorrendo la rotta delle rondini al contrario, adesso saremmo di ritorno da un viaggio importante con un bagaglio pieno di esperienze, di testimonianze, di immagini registrate nei nostri ricordi e nella nostra telecamera. Ma non sempre le cose vanno come si erano programmate. Anzi, quasi sempre vanno in modo diverso. Allo stesso tempo, però, se c’è una cosa che stiamo imparando da questa inchiesta, quella è la flessibilità. Non farsi abbattere dalle situazioni che cambiano, essere pronte a ripensare la nostra organizzazione in corso d’opera, sono sicuramente alcuni degli insegnamenti più preziosi che ci porteremo dietro da questa grande opportunità a cui abbiamo avuto la fortuna di partecipare, chiamata Premio Morrione. Quando si impara facendo, le nozioni sentite a scuola e all’università assumono finalmente un significato, e non ci sorprende vedere come spesso le cose siano ben più complesse e difficili da come le si racconta.

C’è un altro insegnamento che metteremo nella nostra cassetta degli attrezzi da usare nel futuro: il valore del confronto, della condivisione, in due parole, del lavoro di gruppo. Questo mese abbiamo condiviso molto del nostro tempo e dei nostri spazi. Abbiamo passato intere giornate a farci domande, a confrontarci e discutere. Lo abbiamo fatto insieme, ognuna con il suo punto di vista, con le sue competenze e attitudini, capaci di arricchire e dare senso a quelli delle altre. Abbiamo cercato di mettere insieme i tasselli del nostro complicato mosaico fatto di più di mille pezzi, alcuni davvero molto piccoli che si nascondono dietro ad altri più grossi. E proprio nel momento in cui pensavamo di aver ricostruito il disegno generale, una di noi si rendeva conto che avevamo dimenticato un tassello importante. E allora ci toccava ricominciare da capo. Ancora oggi siamo in fase di composizione. Ma il gruppo ti sostiene e rende tutto più sopportabile.

“La complicidad es tanta / Que nuestras vibraciones se complementan / Lo que tienes me hace falta / Y lo que tengo te hace ser más completa”

Canta questa canzone del duo Perotá Chingó la voce di Sarika e suona la chitarra di Amarilli, quando il cervello è pieno di informazioni e ha bisogno della musica per ripulirsi e poi continuare.

Il prossimo appuntamento è sempre in Piazza Castello, le rondini forse saranno già partite.

Martina, Sarika e Amarilli


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