Tedeschi, Vianello e la magia dell’arte 

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Ha compiuto cento anni Gianrico Tedeschi: un grande attore ma, soprattutto, un uomo che a vent’anni si rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e pagò un prezzo altissimo per il suo coraggio. Fu detenuto in tre diversi campi (Beniaminovo, Sandbostel e Wietzendorf), incontrò in uno di essi Giovannino Guareschi e forgiò, in quegli anni, la propria tempra e il proprio spirito partigiano: gli stessi valori che lo avrebbero accompagnato per il resto della vita. La Resistenza, infatti, non ha costituito solo uno spartiacque storico: è stato anche la patria morale di chi l’ha vissuta, di una generazione sfortunata ma, nel caso dei sopravvissuti, comunque felice, in grado di apprendere dalla durissima scuola di una vita cominciata nel peggiore dei modi princìpi e ideali che hanno consentito al Paese di riprendersi dopo essere stato ridotto in macerie in ogni senso.
Tedeschi è un grande attore di cinema e di teatro, uno dei volti più popolari del mitico Carosello ma, più che mai, è uno di quei ragazzi che avevano vent’anni il giorno in cui Mussolini dichiarò l’entrata in guerra dell’Italia e non ha mai dimenticato quel momento.
Ha lavorato con quasi tutti i grandi, ha divertito e riflettuto, è stato comico e intenso, ha sempre improntato alla misura e al buonsenso la sua arte recitativa, ha vissuto senza sosta e continua a farlo, anche ora che ha raggiunto un traguardo straordinario e non ha alcuna intenzione di fermarsi.
Raimondo Vianello, scomparso dieci anni fa, cinque mesi prima dell’amata moglie Sandra, con cui ha condiviso le scene e gran parte dell’esistenza, compì la scelta opposta: aderì alla Repubblica di Salò e visse quell’esperienza senza lasciarsene condizionare nei decenni successivi.
Se li onoriamo insieme, Tedeschi e Vianello, è per dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, che l’arte non ha confini, che va al di là di ogni decisione e convinzione politica e che determinate divisioni hanno senso solo fino a quando non si alza il sipario perché poi a parlare deve essere la bravura dell’attore, il suo piglio istrionico e la sua capacità di stabilire una sorta di simbiosi col pubblico.
Tedeschi e Vianello, divisi dalle scelte politiche della gioventù, sono stati uniti in questo e in molto altro, condividendo un secolo che ha avuto mille risvolti e anche molti aspetti positivi.
Tedeschi lega il suo nome al genio di Strehler, Vianello a una forma di recitazione più scanzonata ma non per questo meno interessante e degna di nota.
Sta in quest’unione di diversità e di grandezze la magia dell’arte, il suo saper prendere per mano chiunque senza chiedergli il passaporto né il credo politico o religioso. Di questa universalità dello spettacolo Tedeschi e Vianello ne sono stati a lungo ambasciatori. Il primo, per fortuna, nonostante la sua veneranda età, continua a esserlo.

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