Le risposte scandinave al Covid-19, primi nel bene e nel male

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Il virus che non si preoccupa dei confini è da tempo in Europa. Nonostante le azioni unificanti messe in campo dall’Unione Europea sin dall’inizio della pandemia – dalla sospensione del Patto di Stabilità, al Pandemic Emergency Purchase Programme da 750 miliardi della BCE, passando per i voli di rimpatrio, i finanziamenti per il vaccino e la messa a disposizione di task force per coordinare i soccorsi – ai diversi modelli statali dei 27 sono seguiti diversi approcci alla gestione della crisi.

Le risposte nordeuropee, ancora una volta, si sono distinte. Classifichiamole insieme.

Danimarca: oro per la tempestività

In Danimarca – primo Paese nordico a mobilitarsi per il contenimento dell’emergenza – scuole, asili, Università e tutte le attività pubbliche sono state chiuse, dall’11 marzo per un mese. Le imprese private sono state caldamente incoraggiate ad incentivare lo smart working, nel limite delle esigenze contrattuali. Il 13 aprile i confini sono chiusi per quasi tutti i cittadini stranieri.

Con ancora la possibilità di uscire di casa e di raggrupparsi in gruppi fino a 10 persone, sempre nel rispetto della distanza sociale, la libertà individuale non è stata eccessivamente limitata. Si conta sul senso civico che contraddistingue questa popolazione. E infatti le persone in giro sono poche, principalmente nei parchi, lungo le spiagge, in coppie o gruppi piccoli. Comunque agrodolce da vivere, per chi come me ha un piede a casa, tra le persone che le passeggiate, anche solo quelle attorno al condominio, se le sognano di notte, e un piede qui, in cui ci si può avventurare molto oltre i 200 metri.

Quello che ha fatto scalpore della reazione danese, però, è stato altro. La prontezza con cui il Governo ha deciso di pagare il 75% degli stipendi dei dipendenti privati (fino ad un limite di 3 mila euro), a patto che questi non venissero lasciati a casa. La speranza è che spendere il 13% del PIL ora significhi una ripresa con un tasso di disoccupazione meno preoccupante di quello post 2008 poi. Stanziati per i prossimi tre mesi, i 2.6 miliardi di DKK (equivalenti a poco meno di 350 milioni di euro) lasceranno tuttavia scoperte fasce come i lavoratori autonomi, i proprietari e altri contratti occasionali (soprattutto fattorini che ancora scorrazzano per la città con le loro giacche fluorescenti in sella alle loro bici).

L’eco di quello che stiamo facendo ora sarà ascoltato in futuro. Stiamo gettando le basi perché compagnie e impiegati possano attraversare senza troppe ferite la crisi ha dichiarato la Prima ministra, Mette Frederiksen. Un welfare, insomma, che ha imparato l’importanza di non lesinare nella propria spesa pubblica, per mantenere fiducia nell’economia ed evitare danni a lungo termine.

Il 6 aprile, il lockdown è stato prolungato fino al 10 maggio, con la conferma che tutti i maggiori eventi estivi (che rappresentano letteralmente la parte più entusiasmante della vita dei danesi) saranno cancellati fino ad agosto. Fermo restando la maggior parte delle misure, alcune però mirano ad una graduale riapertura. Asili e scuole elementari riapriranno infatti dal 15 aprile, per permettere ai genitori di tornare gradualmente ad una vita lavorativa regolare.

Il processo per una lenta riapertura è quindi iniziato in Danimarca. Ma solo a patto, sottolinea le Prima ministra, che i numeri rimangano stabili. “Se riapriamo la Danimarca troppo velocemente, rischiamo che le infezioni si riacutizzino e allora dovremmo richiudere tutto di nuovo“. Una riapertura in punta di piedi.

Finlandia: oro per la progettualità

Se la Danimarca si aggiudica il premio per l’azione più tempestiva, va a Helsinki la menzione d’onore per il numero più basso di casi confermati, che alle 23.00 del 12 aprile corrispondono a 2.974, secondo il Center for Systems Science and Engineering (CSSE) della Johns Hopkins University.

Altro primato, assegnato questa volta dal NYT, vede la Finlandia come il Paese nordico più preparato a fronteggiare la pandemia in corso… Continua su vociglobali


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