Si è svolto giovedì scorso il primo degli appuntamenti organizzati on line dal Cdca (Centro di documentazione sui conflitti ambientali) e dall’associazione A Sud onlus per informare, tra le altre cose, sul rapporto esistente tra crisi ecologica ed emergenza sanitaria. Si è parlato di Brescia e Taranto, dei territori sacrificati alla prova dell’epidemia, insieme all’epidemiologo Gianni Tognoni.
Ci sono territori d’Italia dove il rapporto con la morte non è cambiato. «Ci sono luoghi di questo Paese in cui si moriva in tanti, tantissimi, ben prima della pandemia. Dove il Covid-19 è arrivato come un’ombra minacciosa su un futuro che era già incerto». Con questa premessa è cominciato giovedì scorso il primo degli appuntamenti organizzati sulla piattaforma zoom dal Cdca (centro di ricerca sui conflitti ambientali) e dall’associazione A Sud onlus nell’ambito del ciclo di webinar #PillolaVerde. «Non ci sono più pillola rossa o blu tra cui scegliere. Non possiamo permettere che alla fine dell’emergenza tutto torni come prima. Nessuno può far finta di non vedere», hanno spiegato dalle associazioni motivando la scelta di discutere anche al tempo della grande pandemia «dei luoghi della contaminazione, quelli in cui le popolazioni pagano sulla propria pelle e con la propria vita il prezzo di uno sviluppo feroce e predatorio».
Così, insieme a Gianni Tognoni, epidemiologo e presidente del Tribunale permanente dei popoli, nell’incontro che si è svolto ieri, si è parlato di cosa «significherebbe l’arrivo del virus in una città dove la salute dei cittadini è già compromessa e il sistema sanitario è già al collasso», anche e soprattutto per effetto delle politiche di riordino territoriale. A Taranto, dove già da qualche anno le istituzioni sanitarie raccomandano agli abitanti del quartiere Tamburi, il più prossimo alle acciaierie Ex Ilva, di non uscire nei giorni di vento. Nella città pugliese dove già da diversi decenni si gioca con la salute dei cittadini. Virginia Rondinelli, un’attivista del comitato locale Cittadini liberi e pensanti, intervenendo nel corso del webinar che è stato moderato da Rita Cantalino, ha detto che: «occorre, proprio in questo momento, riappropriarsi del diritto a decidere, opponendo una narrazione altra rispetto a quella bugiarda che è stata inflitta a Taranto in questi anni. Quella retorica dell’emergenza. Della scelta tra la salute e il lavoro». Quest’ultimo è il leit motiv con cui stanno facendo familiarità oggi tutti i cittadini italiani al tempo del lockdown. Ne sanno qualcosa soprattutto a Brescia, dove invece esiste una sanità d’eccellenza che non è riuscita in questi giorni a fronteggiare l’avanzare dell’epidemia, perché «non si è voluto vedere cosa accadeva, per non fermare l’economia», ha ribadito Raffaella Giubellini, la rappresentante di uno dei comitati bresciani che ha dialogato con il professor Gianni Tognoni: «È il tempo di costruire di nuove istituzioni».
A Brescia, come a Taranto, nei territori sacrificati dove la salute dei loro abitanti non è mai cambiata. Secondo i dati più recenti risalenti al 2019, diffusi dalla locale azienda territoriale sanitaria (Ats) di Brescia, in questa provincia si muore di tumore più che nel resto d’Italia. In un territorio che conta 164 comuni e un milione di assistiti sono morte più di 10000 persone di neoplasie. Sono in massima parte gli effetti dei Pcb, i policlorobifenili, a causa dei quali: «dal 2002, una vasta area a sud del centro storico della città di Brescia a valle dello stabilimento Caffaro è stata inserita tra i Siti inquinati di interesse nazionale in base a un decreto del Ministero dell’Ambiente. Interi quartieri sono colpiti da allora da un’ordinanza del sindaco che vieta di coltivare orti, asportare il terreno, far giocare liberamente i bambini nei parchi pubblici e nei cortili delle scuole». Una grammatica familiare, anche qui, per quella che è la “capitale” del Mezzogiorno d’Italia per l’industria “pesante”. A Taranto, ha riconosciuto qualche mese fa il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, durante la presentazione del quinto Rapporto del Progetto Sentieri ⎼ un sistema permanente di monitoraggio della salute di chi vive in 45 aree del Paese a rischio inquinamento industriale ⎼ «nel quadriennio 2014-2017 si confermano ricoveri in eccesso in entrambi i sessi per malattie legate all’inquinamento industriale». E ancora, aveva spiegato Brusaferro: «emerge un eccesso di ricoverati anche per le patologie dell’apparato respiratorio nel loro complesso, sia tra gli uomini che tra le donne».
Pazienti che fino a un mese e mezzo fa nella gran parte erano ricoverati all’ospedale Giuseppe Moscati, ora diventato completamente centro Covid-19. Lì, tra l’incantevole cornice del mar Piccolo e i palazzoni bianchi tardo-novecenteschi del quartiere Paolo Sesto dove in alto sorge l’ospedale in cui fino ad un mese e mezzo fa: «vi era un eccesso di ricoverati per tumori maligni dell’apparato respiratorio tra gli uomini attribuibili a esposizione occupazionale nel settore metallurgico», e, come si leggeva sempre nel rapporto Sentieri: «tra i più piccoli (nella fascia 0-19 anni) in relazione ai ricoveri si segnala un eccesso per leucemie». A Taranto, ti dicono gli amici e le amiche operatori sanitari che ci lavorano lì dentro e a cui domandi come stanno: «qui non è cambiato poi molto. Ce la stiamo cavando come sempre. Facciamo solo qualche ora di straordinario in più, rispetto a un mese e mezzo fa. Del resto, con quella che definiscono oggi emergenza sanitaria, da queste parti, siamo abituati a conviverci da tempo».
E allora ti viene in mente non soltanto che, come è ormai da diverse parti riconosciuto, tra la distruzione dell’ambiente e questa pandemia esistono delle relazioni pericolose. Ma anche e soprattutto quanto riferito giovedì scorso dall’epidemiologo Gianni Tognoni, che è stato direttore scientifico del centro di ricerche farmacologiche e biomediche della Fondazione Mario Negri Sud, e che ora è il Segretario generale del Tribunale permanente dei popoli. Per Tognoni: «questa pandemia è nient’altro che il riflesso della globalizzazione, la quale ha significato distruzione dell’ambiente, crescita economica infinita e aumento delle disuguaglianze». Parole che fanno il paio con quelle pronunciate lo scorso 9 Aprile in una lunga intervista da Frank Snowden, storico americano delle epidemie e della medicina, esperto di storia italiana moderna e professore all’Università di Yale. Snowden ha paragonato l’attuale pandemia al colera del diciannovesimo secolo. Perché allora quella «era una malattia dell’industrializzazione e quindi dell’urbanizzazione dilagante perché masse di persone si riversavano nelle grandi città in tutto il mondo industriale, dove non esisteva alcuna preparazione sanitaria o abitativa». E oggi, dunque, l’attuale pandemia non è altro che il riflesso dei comportamenti assunti dalla società in cui viviamo.