I virus e la disinformazione che creano allarmismi ingiustificati

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Un’informazione consapevole per potersi vaccinare dalle fake news, dalla disinformazione responsabile di aumentare paure e panico, allarmismo ingiustificato: la causa è imputabile alla mancanza di un equilibrio tra il dovere professionale nel comunicare notizie accertate e verificate, e l’enfatica e ossessiva abitudine di scrivere (tutta italiana) senza cognizione di causa priva di evidenze incontrovertibili. È quanto sta succedendo nei confronti dell’emergenza sanitaria (oltre che sociale ed economico) nel dare notizie del “coronavirus” cinese. Il giornalista di Libération Paul Quinio scrive (tradotto e pubblicato sull’ultimo numero del settimanale “Internazionale” del 31 gennaio – 6 febbraio): «Gli specialisti lo sanno: di fronte a una minaccia di epidemia esistono due rischi: la negazione e la reazione incontrollata. L’una è spesso il primo passo verso l’altra. In questo caso la trasparenza, la pedagogia, l’informazione indipendente e verificata sono i migliori rimedi al panico, i cui grandi amici sono le notizie false, il complottismo e la negazione della realtà…. ».
Negare un’evidenza è già sintomo di un tentativo di oscurare una verità accertata, specie se validata scientificamente, ma se a seguire insorgono paure irrazionali, ecco allora che si arriva a forme di intolleranza sociali scomposte, incontrollate capaci di suscitare psicosi generalizzate. L’Italia appare, ancora una volta, terreno fertile di questo genere di problema nonostante l’intervento pubblico degli specialisti (virologi, ricercatori universitari, esperti di malattie virali e infettive) per smentire inutilmente  un’informazione falsata. Basta sfogliare la rassegna stampa dei maggiori quotidiani, media, televisivi, siti online, e sui social, vero incubatore di virus psichici.
Dall’Organizzazione mondiale della sanità arriva il monito a tutti i paesi dove si raccomanda di applicare misure fondate su protocolli sanitari certificati: «sostenere gli stati dove è presente una sanità precaria, impegnarsi sullo studio del vaccino e contrastare la divulgazione di notizie infondate e contrastare la disinformazione». Un appello inascoltato. Un titolo di un quotidiano “grida”: «è come il colera» riprendendo la dichiarazione del ministro della Sanità Roberto Speranza: «il virus gestito come fosse il colera». C’è una differenza semantica fondamentale: il coronavirus, finora sconosciuto e classificato 2019-nCoV non ha le caratteristiche del colera, ma le misure sanitarie adottate per impedirne la diffusione richiamano una metodologia applicata nel caso del colera a Napoli nel 1973 e causato da cozze importate dall’estero.

Le parole hanno sempre un peso e l’informazione giornalistica dovrebbe avere sempre il senso della misura, specie quando si affronta un argomento scientifico – medico clinico . Il parere dell’esperto ha la priorità rispetto ad un’informazione superficiale, generica, stereotipata. L’overdose di notizie diventa tossica, specie quando nelle redazioni viene dato l’ordine di riempire un numero esagerato di pagine, così come è accaduto con un quotidiano nazionale con 11 pagine dedicate al coronavirus, tra cui una con tanto di mappa disegnata a colori e con la grafica che ricrea il simbolo del virus. Una narrazione dettagliata e quasi maniacale con gli spostamenti stradali, ferroviari, i soggiorni in albergo, i ristoranti delle città visitate da turisti cinesi,le cui condizioni di salute hanno richiesto il ricovero ospedaliero: “Il balcone di Giulietta in centro (Verona) per le foto”. “Colazione e chek out (in albergo)”; “l’arrivo il 24 gennaio: «sono quasi sempre rimasti in camera» (Parma)”. La notizia della loro presenza in Italia (avendo contratto il virus) andava data ma era così necessario seguirne le orme passo dopo passo? A quale fine? Spiegare nel dettaglio ogni singolo movimento come una sorta di pedinamento a posteriori che contributo può offrire al lettore? Immaginiamo le ore spese al telefono del redattore – cronista alla ricerca di dettagli minuziosi nel tracciare la presenza da un posto all’altro dei cinesi, ora ricoverati in ospedale a Roma.

Quante persone circolano attualmente in Italia ogni giorno affetti da patologie virali di ogni tipo? Vedi alla voce influenza. Il dottor Fabrizio Pulvirenti intervistato in televisione (nel programma Agorà su Rai 3) ha spiegato in maniera efficace: «Il coronavirus ha un tasso di mortalità intorno al 2 per cento ma in Italia ci sono stati quest’anno 3,5 milioni di contagiati per influenza stagionale, con 180 – 200 morti al giorno. Da qui si capisce come l’influenza stagionale sia ben più grave». Ogni anno l’ influenza è responsabile del decesso tra le 250 mila e le 500 mila persone nel mondo. I virologi intervistati consigliano di adottare “precauzioni consapevoli” ma non di suscitare paure infondate o seguire mezzi di prevenzione inutili. Le precauzioni efficaci sono quelle emanate dall’Organizzazione mondiale della sanità che spiegano di lavarsi spesso le mani, di starnutire o tossire nel fazzoletto, di evitare di toccarsi gli occhi, naso e bocca senza prima essersi lavati le mani…

Sembrano banali consigli in realtà hanno un’efficacia universale per molte patologie trasmissibili per via aerea. Intanto la stampa si dedica con un’enfasi francamente eccessiva sulle origini geografiche delle ricercatrici che hanno isolato il virus nel laboratorio dell’ospedale Spallanzani di Roma. Come se la provenienza del centro sud fosse un dato rilevante o discriminante per valutare le loro capacità professionali. Pagine intere per evidenziare luogo di nascita, ambiente sociale, e quant’altro da assomigliare più ad un modo di curiosare nella vita privata e non restare nel merito del risultato scientifico. Non poteva mancare l’invito del festival di Sanremo per spettacolizzare il loro lavoro ma sapientemente rifiutato. Non c’è bisogno di salire su un palcoscenico per rivendicare un merito scientifico (condiviso anche da altri ricercatori europei), caso mai di valorizzarlo in sede scientifico economica.

Ma non basta: c’è anche chi non resiste a fare polemica politica su scelte adottate dal governo italiano, come nel caso di “Libero” il quotidiano fondato da Maurizio Belpietro: “Allarme Coronavirus. Conte abbandona ragazzo italiano in Cina. Rimpatriati 56 connazionali, ma un minorenne viene lasciato giù dall’aereo perché ha la febbre. È soltanto l’ultima contraddizione di una gestione pasticciata dell’emergenza sanitaria. Tra evocazioni della peste, velleitarie chiusure dei cieli, e accuse di razzismo». In poche righe la disinformazione e la mistificazione della realtà dei fatti (di come sia realmente andata la vicenda) viene lanciata a mezzo stampa solo per “condannare” senza prove. Una telefonata alle autorità consolari italiane poteva accertare il contrario. A smentire Libero la corrispondente Rai da Pechino Giovanna Botteri che ha spiegato al Tg 3 come il giovane sia stato trattenuto dai sanitari cinesi per accertamenti in ospedale (rivelatesi negativi e quindi non affetto dal virus che colpisce i polmoni e che si manifesta in un periodo di incubazione che va da due giorni fino a due settimane) dove una volta dimesso, è stato ospitato in un albergo in attesa di essere rimpatriato. Il Corriere della Sera riesce a fare una cronaca esauriente e circostanziata di come è stata gestita in modo razionale la cura al ragazzo grazie ad una collaborazione straordinaria tra medici cinesi, una docente italiana chiamata per fare da mediatrice e interprete, e la diplomazia italiana di Pechino. Nessuna discriminazione né rifiuto o abbandono ma a certi giornali conviene sempre alterare la realtà ad uso e consumo di una propaganda ideologica e fomentatrice da “caccia alle streghe”.

“Le accuse di razzismo”, come scritto dal quotidiano ormai celebre per scrivere fake news di ogni sorta, dovrebbero tenere conto degli episodi gravi accaduti in questi primi giorni:da quando il panico ha scatenato ogni forma di discriminazione e intolleranza nei confronti della comunità cinese, residente in Italia per lavoro o in viaggio turistico. Frasi ingiuriose verso cittadini cinesi in Italia come se la “colpa” del virus sia imputabile ad una volontà dolosa di propagarlo.  I commenti sui social sono ad un punto di non ritorno. Urge una terapia per cercare di trovare un rimedio vaccinale sulle menti obnubilate che ottundono gravemente le facoltà sensoriali e psichiche di molti.


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