“Tutto il calcio”: lo sport e una certa idea d’Italia

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Cos’è, in fondo, “Tutto il calcio minuto per minuto” se non una certa idea d’Italia? Cos’è, se non il figlio naturale dell’amore per la gente comune di straordinari professionisti come Moretti, Zavoli e Bortoluzzi? La popolare trasmissione radiofonica, che ci ha tenuto compagnia per infinite domeniche, compie sessant’anni, e chiunque non sia proprio giovanissimo e abbia memoria dei tempi in cui non esisteva ancora lo spezzatino attuale sa quale emozione fosse sintonizzarsi la domenica sulle sue frequenze e seguire con passione quel grande romanzo ppolare che è il campionato di calcio.
Sessant’anni di sfide, di duelli, di tragedie e di momenti indimenticabili. Sessant’anni e ancora si rincorrono nelle nostre orecchie le voci di Ameri e di Ciotti, l’uno dal campo principale e l’altro, spesso, in collegamento da dove stava accadendo qualcosa di davvero epocale. Che dire del “Clamoroso al Cibali!” esclamato proprio da Ciotti il 4 giugno 1961, quando il Catania ebbe ragione dell’Inter di Herrera con un 2 a 0 da conservare nel museo dei ricordi più belli della piccola compagine etnea? Da quel momento l’espressione entrò a far parte dell’immaginario collettivo, come spesso capita alle intuizioni geniali frutto della spontaneità.
E come dimenticarsi di Provenzali, Foglianese, Russo, Cucchi e tanti altri aedi dell’era moderna, con il loro stile inconfondibile, il loro garbo d’altri tempi, la loro poesia martellante che rendeva ogni partita un’esperienza unica?
Oggi tutto questo non esiste quasi più, le tv private hanno preso il sopravvento e le immagini si sono sostituite alle radiocronache, al punto che si è quasi estinta la fantasia e la stessa capacità di narrare ne ha risentito eccome.
Ma quell’entusiasmo ingenuo, quell’inventarsi un mondo, quell’immaginazione fervida che ci induceva, da bambini, a costruire un immaginario e a cerare di renderlo il più possibile simile alla realtà, quella Play Station naturale prima che esistesse quella vera, quel nostro giocare con i pupazzetti o col Subbuteo sul tavolo della cucina, inventandoci una radiocronaca ad hoc, quell’avere in mente le voci dei nostri cantori preferiti mentre correvamo sul campetto dell’oratorio, quel sentirci per un istante Mazzola, Rivera o Del Piero, tutto questo nessuno ce lo potrà mai portare via, per il semplice motivo che è parte di noi, della nostra formazione, del nostro patrimonio umano e culturale prim’ancora che sportivo.
“Tutto il calcio”, che prima raccontava solo i secondi tempi, poi si è esteso anche ai primi e adesso deve fare i conti con una concorrenza spietata e disumana, “Tutto il calcio” resterà, proprio come le mille radio grazie alle quali lo abbiamo ascoltato: in casa, in macchina, al lavoro e, talvolta, persino allo stadio, quando non esistevano gli smartphone ed era l’unico modo per sapere cosa stesse acadendo sugli altri campi.
Ormai si gioca sfaasati, una il poeriggio, una la sera, una il giorno dopo, un’altra chissà quando, e vaglielo a far capire ai padroni del vapore che così ci perdiamo tutti, che lo spettacolo viene meno, che la passione popolare scema, che persino l’entusiasmo dei bambini viene messo a dura prova.
Poi, però, basta un album di figurine, una maglia del proprio idolo e quella voce, non più epica come nelle stagioni eroiche ma comunque ancora degna di rispetto, ed ecco che si torna un po’ tutti bambini e la fantasia prende il sopravvento, le idee si rimettono in circolo, il cervello si ossigena, la tensione sale e ci si sente protagonisti di una storia immensa, grande proprio come l’entusiasmo che da sempre ruota intorno a questo sport. Il più bello in assoluto, proprio per la sua capacità di abbattere ogni barriera. Come scriveva Jorge Luis Borges: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualosa per la strada, lì riomincia la storia del calcio”. E ogni volta che ascolta una radioronaca fatta come si deve, lì il nostro mestiere ritrova un senso, la sua bellezza primordiale e indistruttibile.
Buon compleanno, “Tutto il calcio”, figlio di una RAI che non aveva paura di osare.

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