Di Maio e la disgustosa idea di dialogare con Assad

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I romani sanno bene la storia di Pasquino e di una delle più note pasquinate, la frase “quod non fecerunt barbari fecerunt barberini”; era indirizzata a papa Urbano VIII  e ai membri della sua famiglia per gli scempi edilizi di cui si resero responsabili. Oggi il ministro degli esteri in carica, Luigi Di Maio, ci induce alla sorpresa, a farci temere che “quod non fecerunt gialloverdi fecerunt giallorossi”. E’ nel suo ruolo di ministro degli esteri infatti che ha detto che “ è ora di dialogare con Assad.” Dialogare con Assad… Se il ministro avesse detto che è ora di aprire ad Assad uno potrebbe dissentire ma non sobbalzare. Ma dialogare con Assad… Come se Assad potesse dialogare con chicchessia. La parola “hiwar”, dialogo, è stata cancellata da tutti i vocabolari siriani dal giorno del golpe del dipartito babbo Hafez al Assad, quello che gli ha lasciato in eredità la presidenza della repubblica di Siria, giustamente definita sulle targhe di benvenuto al confine, “La Siria degli Assad”. Il dialogo non rientra tra le possibilità immaginabili con lui, per chiunque abbia idea di chi sia Assad. Ci può essere l’accettazione supina, quella prona, ci può essere il diktat, non il dialogo.

Ma su cosa poi si dovrebbe dialogare con Assad? Un ministro attento come lui al significato delle parole ci avrà sicuramente pensato. Il dialogo è cosa seria, importantissima, e il ministro avrà certamente studiato il termine per implicare un’idea. Forse dialogare per trovare insieme una via al domani mediterraneo, quello che tutti ci accomuna in questo mare. Ecco, per parlare con Assad, impresa non impossibile se si esclude in partenza che possa essere un dialogo, consiglierei al ministro la lettura di questi due brevi brani presi dal libro di uno studioso che alla Farnesina certamente conosco, Gilles Kepel. Nel suo ultimo libro, “uscire dal caos”, Kepel, universalmente riconosciuto come lo studioso più accurato e capace dell’attuale Medio Oriente, ricostruisce le dinamiche che portarono alla formazione in Siria del terrorismo poi noto con il nome di Isis. E a pagine 232 del volume, pubblicato in Italia da Raffaello Cortina editore, scrive riferendosi ai tempi successivi alla famosa amnistia con cui si intendeva, per molti, porre termine alla rivolta da poco cominciata in Siria, liberando i giovani non violenti che erano stati arrestati per le loro manifestazioni di piazza: “L’amnistia, per contro, è stata estesa a molti detenuti appartenenti al movimento islamista: Fratelli musulmani, salafiti e jihadisti, compresi alcuni di quelli che erano stati consegnati dalle autorità americane nel quadro della politica di rendition. Tenendo conto delle onnipresenti manipolazioni imputabili ai servizi segreti siriani, è ipotesi diffusa che gli uomini che agivano nell’ombra avessero contemplato l’ipotesi dell’ascesa al potere dei più radicali a capo della rivolta e la sua facile demonizzazione da parte del regime […]”

Non basta, a pagina 244 l’autorevole studioso, che certamente sarebbe disponibile anche a parlare del rapporto tra  Assad e l’idea di dialogo con il capo delle nostre feluche, scrive sull’accordo russo americano per il disarmo chimico di Assad dopo la strage chimica dell’agosto 2013 nella Ghouta: “Quando nell’autunno 2014 ho incontrato nella capitale russa Evghenij Primakov- già direttore dell’Isitituto di Studi Orientale di Mosca prima di diventare responsabile dei servizi segreti, poi primo ministro per un breve periodo e che fino alla sua morte nel 2015 ebbe una grande influenza su Vladimir Putin- mi ha spiegato la strategia perseguita. Consisteva anzitutto nel difendere la credibilità russa, restituendo una legittimità internazionale al governo siriano alleato, grazie alla partecipazione al processo dell’ONU di smantellamento dell’arsenale chimico. Ciò avrebbe permesso di eliminare ogni prospettiva di intervento militare occidentale, che sarebbe andato a favore delle forze democratiche all’interno della ribellione. Questa situazione avrebbe facilitato la cristallizzazione del conflitto fra gli insorti presi in ostaggio dal jihadismo mondiale, che sarebbero stati oggetto di un crescente sospetto occidentale, e un asse russo-iraniano che si sarebbe sentito più libero di agire direttamente in Siria.” Che il ragionamento proseguisse con una sottomissione di Assad a Putin non lo ha capito solo Kepel, basta legger sin qui per immaginarselo prima che lui lo scriva.

Questo dialogo dunque verterebbe sulla pace nel Mediterraneo? Si può costruire la pace con simili interlocutori? Dubitandone è più facile immaginare che il dialogo possa essere sugli appalti per la ricostruzione della Siria. In questo caso il dialogo allora andrebbe fatto al Cremlino, senza bisogno di aprire un nefasto tavolo con le superflue autorità siriane.


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