Governo. Di Maio insiste con il rinnovo del “contratto di governo” fino al 2023 e fa irritare i dem che invece parlando di “intesa politica” e di nuovo cronoprogramma

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Di Pino Salerno 

L’esecutivo a gennaio non cadrà, ma basta con le liti. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte lancia l’ennesimo avvertimento alla sua maggioranza e continua a predicare “unità e concentrazione”, nella speranza che prevalgano su “proclami e frasi a effetto”. Dopo l’incontro tra Beppe Grillo e Luigi Di Maio, in cui garante e capo politico del M5S hanno messo sul tavolo l’ipotesi di rilanciare l’attività dell’esecutivo con un nuovo contratto di Governo, anche il presidente del Consiglio prova a spostare più in là l’orizzonte della fine della legislatura, che in più occasioni e su diversi dossier, negli ultimi giorni, è sembrato avvicinarsi. “Con il nuovo anno dovremo realizzare un cronoprogramma con le riforme che l’Italia attende da anni”, spiega il premier. “Vogliamo un governo che duri tre anni ed è per questo che vogliamo rafforzarlo con un contratto che dica ai cittadini cosa e quando si farà” spiega invece in una intervista al Messaggero il ministro e leader M5s, Luigi Di Maio. Dalle pagine del quotidiano romano rilancia la sua proposta sul contratto, cui allegare anche ‘un calendario’. Ma dopo le Regionali prossime si può andare avanti.

Dal Nazareno, anche il capodelegazione Dario Franceschini punta ad arrivare al traguardo del 2023: “Con stili diversi, Grillo e Zingaretti hanno detto la stessa cosa: chiusa la legge di bilancio e risolti i due problemi più urgenti che sono Ilva e Alitalia, bisogna ridefinire il progetto di riforme per il futuro della legislatura”, sottolinea il ministro della Cultura. E fissa già in calendario l’appuntamento dopo l’Epifania (prima del voto in Emilia Romagna, in programma il 26 gennaio). Anche Di Maio converge sulla necessità di dare una nuova spinta al Governo: “Adesso c’è da prendere il largo, perché se vuole durare tre anni questo Governo deve avere delle tappe serrate sulle leggi da approvare”.

L’idea di un ‘contratto’, però, non ha mai convinto Zingaretti e i dem. Franceschini lo dice chiaro: “Lasciamo perdere i contratti che per natura sono accordi tra controparti, garantiti da un notaio – spiega -. Non abbiamo bisogno delle firme, ma di un’intesa politica”. E se l’ala dem più governista punta comunque ad andare avanti, c’è chi, come il vicesegretario Orlando, continua a ‘seminare’ avvisi per gli alleati: “La condizione più pericolosa per la tenuta del governo è l’attuale, di separati in casa”, insiste. Sul movimento delle sardine, Franceschini ha osservato che “ci sono elettori Pd, elettori 5 Stelle, i riformisti” che una scelta di campo l’hanno fatta, “senza aspettare le nostre paturnie”. E il ministro Francesco Boccia affonda la lama in un’intervista a La Stampa: “sono d’accordo su un patto per individuare quattro o cinque punti rilevanti che consentano alle forze di maggioranza di assumersi la responsabilità del Paese e arrivare a fine legislatura. Ma non chiamiamolo contratto”. Insomma, “il fatto è che la vita degli italiani non è contrattualizzabile. La società, l’economia impongono cambiamenti che non sono prevedibili per contratto. Quello che devi avere chiaro sono i principi”. “Su scuola, ambiente, lavoro ed Europa ci sono punti di contatto tra Pd e M5s – aggiunge -. Per noi è fondamentale la riduzione delle tasse sul lavoro”. Il patto servirà anche a ritrovare una sintonia con Italia viva? “Non so cosa farà Italia viva – risponde -. Penso che abbiamo una visione comune con M5s e LeU, ma non ho capito se l’obiettivo di Italia viva sia quello di militare in un’alleanza progressista di centrosinistra”.

Si cambi, dunque, almeno sulla parola chiave che dovrebbe racchiudere il senso di questo governo sufficientemente anomalo. Chiamarlo “contratto di governo” non è possibile, è una forzatura che ha in premessa il ritorno al senso del governo Conte I, quando M5S e Lega si accordarono per fare ciascuno ciò che gli pareva. Non è più quel tempo, se discontinuità dev’essere. Sono tanti i dossier sui quali gli alleati attuali sono ‘incartati’. Dalla legge elettorale (tavolo al quale il Pd ha minacciato di far sedere il Carroccio con l’obiettivo di approvare un sistema maggioritario, avvisando di fatto M5S e Iv), alla riforma della giustizia, che il premier mette tra le priorità da affrontare a gennaio, ma ancora un accordo sulla prescrizione non c’è. Anche sul Mes, poi, la strada è in salita. Conte invita a “non banalizzare un dossier tanto complesso: i dossier vanno studiati e, per ottenere risultati vantaggiosi per il nostro Paese, dobbiamo sederci ai tavoli europei e far valere le nostre argomentazioni”.

Da jobsnews


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