Sofia: il racconto di un Marocco in cui non c’è posto per l’amore

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Casablanca, Marocco. Sofia ha vent’anni, figlia unica di una famiglia tradizionale. Durante un pranzo di famiglia in cui si festeggia la prossima firma di un affare molto vantaggioso per il padre della ragazza, Sofia si sente male. In realtà, è incinta, senza saperlo, e sta per partorire. Sua cugina Lena, specializzanda in medicina, comprende immediatamente la situazione e la porta in ospedale. Sofia mette al mondo una splendida bambina, ma deve portare i documenti del padre entro 24 ore altrimenti la direzione sarà costretta ad informare la polizia.

In Marocco l’articolo 490 prevede infatti la reclusione fino ad 1 anno per rapporti sessuali all’infuori del matrimonio. Inizia così per le due cugine l’affannosa ricerca del padre che non porterà tuttavia al coronamento di un amore ma solo alla soluzione meno dolorosa per sopravvivere ad una società arretrata e patriarcale, mentre i genitori di Sofia, coperti dalla vergogna, accorrono nel tentativo di arginare la situazione.

Il film della regista Meryem Benm’Barek, premio per la migliore sceneggiatura a Cannes nella sezione Un Certain Regard, nelle sale italiane da giovedì 14 marzo con Cineclub Internazionale, non è solo un’opera di denuncia sulla condizione della donna in Marocco, ma anche una presa di coscienza dei meccanismi sociali che s’innescano tra la borghesia benestante – e più emancipata – e chi è meno abbiente. E’ un film che non è fatto di buoni e cattivi, ma solo di persone che fanno scelte anche assai discutibili per necessità. Proprio come Omar, il ragazzo che viene indicato come padre della creatura. Orfano di padre, di umili origini e incapace di sfamare madre e fratelli, accetta di sposare Sofia e riconoscere la bambina pur di entrare in una famiglia più agiata e guadagnare una posizione rispettabile. Ma non è con accuse o ricatti che si costruisce una famiglia: l’unione di Omar e Sofia ‘risana’ la situazione senza lasciar tuttavia spazio alle emozioni.

Il film è sì uno spaccato del Marocco di oggi, ma è anche il racconto di qualcosa di più universale, i rapporti di potere tra le diverse classi sociali.

Un film importante, a basso budget e girato con attori non professionisti debitore, per ammissione stessa della regista – formatasi in Belgio – del cinema di Farhadi e dei  fratelli Dardenne.


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