SE IL POPOLO DIVENTA ÉLITE

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Il dibattito nazionale sulla leadership del partito di opposizione coinvolge un po’ tutti, al di là delle opinioni e delle appartenenze, in quanto pertiene alla qualità stessa della democrazia, che vive come sappiamo di dialettica tra maggioranza e opposizione. A tutti deve interessare che ci sia un’ opposizione vibrante, capace di incalzare, controllare, denunciare. E, inoltre, che abbia chiaro il suo scopo: essere maggioranza domani. Un’opposizione che opera “come se” restasse sempre opposizione non è propria di uno stato democratico, come non lo è una maggioranza che si comporta ” come se” fosse l’ ultima maggioranza.

Ecco perché le posizioni non sono ingessate, anche se così potrebbe sembrare qualora si assuma la frattura tra ” élite” e ” popolo” come predefinita – quasi che le élite siano identificate con chi è stato cacciato all’opposizione e il popolo sia identificato con la maggioranza di oggi. Come se prima di ora mai il popolo avesse contribuito a costruire maggioranza e opposizione.

Questo dualismo è quanto di più sbagliato e, soprattutto, carico di conseguenze negative per le istituzioni democratiche. Poiché comporta pensare che l’ opposizione debba restare tale, idealmente per sempre, in quanto identificata con l’ élite, destinata come è ovvio ad essere minoranza numerica. Se le componenti dell’ opposizione non comprendono la trappola di questa ideologia (peculiarmente populista) nella quale sono cacciate da una propaganda quotidiana, a rimetterci non saranno solo loro ma la nostra democrazia.

Ai populisti si deve ribattere e dimostrare che l’establishment sta al governo anche oggi – un nuovo establishment che ha preso il posto del vecchio e che cerca, anzi, di stabilizzarsi nel tempo lungo, di occupare tutte le posizioni, anche quelle di organi che tradizionalmente i partiti hanno accettato di tener fuori dalla lotta politica diretta, per riconoscere loro autonomia di decisione (come nel caso della Banca d’ Italia). Non è questa una nuova élite?
Certo che lo è. Come Gaetano Mosca ci insegna, la competizione e l’ appello al consenso popolare sono gli strumenti che i sistemi parlamentari usano per sostituire le classi politiche, le élite.

L’opposizione non è dunque tra l’élite di ieri punita dal popolo che oggi governa. Questo popolo tanto corteggiato funge oggi da audience, usato per insediare e incensare una nuova élite, pur senza farla apparire tale. L’ opposizione dovrebbe liberarsi dalle maglie di questa retorica e approntare una strategia radicalmente anti-populista. Rivelando il gioco, nemmeno tanto nascosto e indiretto, di occupazione che una nuova élite sta mettendo in atto.

L’anti-establishment, insomma, è un gioco democratico che andrebbe usato proprio da chi oggi è all’opposizione. Riuscirà il partito di opposizione a essere capace di far questo? Non lo sappiamo. Certo è che per darsi carattere e forza dovrebbe liberarsi dalla zavorra di nomi ed élite che lo frenano. Lo faceva presente Rosy Bindi nella sua intervista a Repubblica, quando perorava la causa della discontinuità tra vecchia e nuova dirigenza del partito d’ opposizione. Sarebbe anche per questo urgente disfarsi dei personalismi che portano il discorso politico lontano da quello che dovrebbe essere il suo obiettivo primario: attrezzarsi a diventare partito di opposizione per un futuro di governo.

A chi lo guiderà spetterà il compito di dare unità non solo simbolica al centro-sinistra (al di là delle sigle dei partiti), ma anche di avvicinare realtà locali, associazioni e piccoli e grandi progetti che in questi mesi si sono manifestati in tante città italiane: sui temi dell’ ambiente, dei diritti civili, della dignità umana, del lavoro.

Spetterà all’opposizione il compito di fare scelte forti che tolgano mordente agli avversari. Di praticare le due virtù della politica che sembrano oggi una merce così rara: il coraggio di indicare i principi di un percorso politico riconoscibile ovvero democratico e di emancipazione; e la prudenza nel tenere una giusta velocità, di imprimere un moto e interrompere l’ immobilismo.

la Repubblica, 14 febbraio 2019 

Da libertaegiustizia


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