Supercoppa: il movimento sportivo dice no

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Signornò: la Supercoppa in Arabia Saudita non va giocata. Nel calcio, e nello sport dei supercampioni, sembra non essere più possibile dire signornò. Tutti in fila perché c’è sempre una ragion di stato per cui le cose devono andare così. Eppure c’è anche uno sport che sa guardarsi intorno e non si volta dall’altra parte. Eppure, se è vero che i grandissimi eventi globali e sportivi possono rappresentare vetrine per i dittatori, disposti a sganciare poste milionarie, è vero anche il contrario. Che possono rappresentare occasioni per non scendere in campo, per contestare regimi violenti e illiberali. Senza se, senza ma. Lo sport è un fenomeno importante che arriva a tutti.

Comandano i diritti televisivi, gli accordi di potere tra superleghe e supersponsor, ed è così che le Supercoppe – come le SuperOlimpiadi e i SuperMondiali – rischiano di diventare medaglie per i rais di tutto il mondo.
Questa è la prima ragione per cui bisogna dire di NO alla Supercoppa a Jeddah che i signori del calcio tricolore hanno deciso di giocare in Arabia Saudita il prossimo 16 gennaio 2019. Perché nello sport si possa ricominciare a dire (a poter dire): signornò.
Il dittatore saudita, erede al trono, principe Mohammed bin Salman è accusato di essere tra i fomentatori del terrorismo islamico e il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi. E probabilmente si siederà in tribuna d’onore e lo vedremo in diretta su Rai 1. Non è andando lì che si contrastano i regimi. Così si legittimano.
E se gli eventi globali di calcio finiscono per legittimare regimi dittatoriali od opachi, qualche ragione ci deve pur essere. Quale? Si può sorridere al miglior offerente senza battere ciglio? Le ultime tre edizioni della Supercoppa italiana sono state giocate in Cina, i prossimi Mondiali di calcio (dopo l’edizione appena conclusa in Russia) si giocheranno nel 2022 in Qatar,
La Supercoppa italiana andrà in scena nello stadio King Abdullah, una faraonica struttura realizzata quattro anni fa e capace di contenere 65.000 persone. Nota, sinora, per aver ospitato nell’aprile 2018 la finale del Greatest Royal Rumble, milionario torneo internazionale di wrestling. Calcio e wrestling, lo spettacolo é servito. Il calcio arabo viene giudicato emergente, ma in che cosa? L’8 giugno 2017, nella partita contro l’Australia valida per le qualificazioni dei Mondiali in Russia, la nazionale dei “figli del deserto” rifiutò di rispettare il minuto di silenzio per ricordare le vittime dell’attentato al London Bridge.
E allora, perché i vertici del calcio italiano (Lega e Federazione) hanno preso questa strada? Per soldi (23 milioni) e per coprire una crisi che è ormai diventata un piano inclinato. E se questa visione di calcio non c’entra niente con i valori, l’educazione dei giovani e la passione popolare…pazienza. Perché così i signori del calcio possono pascolare indisturbati nei luoghi comuni del populismo: i buuu razzisti? Che-vuoi-che –siano…le curve trasformate in terra di nessuno? Trovate giornalistiche…le carceri negli stadi? Buona idea.
Una nuova cultura dello sport passa anche per la possibilità di dire NO. Come successe cinquant’anni fa con il pugno guantato di Smith e Carlos e il distintivo antirazzista di Peter Norman, spesso dimenticato, anche lui sul podio dei 200 metri nelle Olimpiadi di Città del Messico. Come successe alla campionessa musulmana Assiba Boulmerka, medaglia d’oro sui 1.500m alle Olimpiadi di Barcellona ’92, che sfidò il potere maschilista e feudale del suo paese, l’Algeria, corse in pantaloncini e disse: “non è vero che la nostra religione vieti lo sport alle donne”. Come è successo qualche giorno fa in Qatar: l’attaccante finlandese Riku Risky non è voluto scendere in campo con la sua nazionale impegnata contro la Svezia in amichevole, perché lo stato del Golfo è accusato di violazioni di diritti umani. Grazie a Vittorio Di Trapani (Usigrai) per aver rilanciato questa notizia sui social, visto che da noi era passata quasi inosservata.

Signornò a chi relega le donne in spazi separati, sia quelle arabe, sia quelle italiane o del resto del mondo. E c’è pure chi pensa che sia un passo in avanti rispetto al passato, quando le donne non entravano negli stadi. Signornò a chi non rispetta i diritti umani, la libertà di stampa, le regole della democrazia. Signornò ai capestri commerciali: la Lega calcio ha stipulato con il governo di Riad un accordo per svolgere 3 delle 5 prossime Supercoppe. E non è meno grave, come ha denunciato il New York Times, lo scandalo delle bombe prodotte in Italia e scaricate dall’Arabia Saudita sullo Yemen.
Non può essere una giustificazione neppure la presunta “neutralità” dello sport, in nome di valori olimpici, smaccatamente svillaneggiati o piegati a proprio vantaggio dalla macchina mangiasoldi del business sportivo. O del tallone politico. Lo sport e gli sportivi, a cominciare da quello di base e del territorio, hanno acquisito consapevolezza: fuori la retorica, dentro la consapevolezza di essere un pezzo di società. Fare sport significa guardarsi intorno. Ed è così che domenica 13 gennaio tra il primo e il secondo tempo di Casalmaggiore-Firenze di volley femminile è andata in scena una clamorosa protesta: tifose delle due squadre, giocatrici e arbitra si sono chiuse in un settore del Palazzo dello sport di Cremona chiamato “gabbia”. (https://www.facebook.com/1535835400/posts/10218077865328255/)

Signornò alla Supercoppa in Arabia Saudita anche da molti altri, dal mondo associativo con la Uisp a Marco Tardelli e Damiano Tommasi (oggi presidente dell’Assocalciatori). Negli anni ‘80, calciatore della Roma, fu tra i primissimi in serie A a dire davvero Signornò e a scegliere l’obiezione di coscienza. Nello sport e nella vita.(http://www.avvelenata.it/obiezione/sportevita_tommasi.html)

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