Furio Colombo: il silenzio è ancora troppo grande 

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La Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) con l’Unione sindacale giornalisti Rai (UsigRai), Articolo 21 e l’Ordine dei Giornalisti del Lazio sono stati ricevuti dalla presidente e dal portavoce della Comunità Ebraica Romana Ruth Dureghello e Daniel Funaro e dal presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, venerdì 25 gennaio in via del Portico d’Ottavia a Roma.
Presenti all’incontro numerosi giornalisti e giornaliste minacciati dalle mafie e da gruppi neonazisti e neofascisti e, in rappresentanza della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Elena Ribet, redattrice dell’agenzia stampa
NEV.

Qui di seguito, la trascrizione di una parte dell’intervento di Furio Colombo, giornalista e Senatore della Repubblica, tra i promotori della Legge 211 del 20 luglio 2000 che istituì in Italia il Giorno della Memoria.

<< […] Per la prima volta da quando si commemora questa Giornata, parliamo con la Shoah di fronte a noi, con la presenza del male che è stato fatto da umanità a umanità, con la coscienza che questo male avrebbe potuto ripetersi se non fossimo stati in guardia, e ci siamo accorti che, per qualche ragione, non siamo stati in guardia affatto. Un’immagine straordinariamente importante, che spero sarà preservata dal telegiornale che l’ha filmata, è quella dell’autobus carico che sta per lasciare Castelnuovo di Porto e di una deputata, Rossella Muroni, che si è messa per ore davanti, perché il pullman non partisse. Quello che mi ha colpito è che accanto al pullman c’erano i bagagli, che erano bagagli nuovi, puliti, in ordine, con le targhette di riconoscimento. Bagagli di gente che vive una vita che sta diventando normale. Non erano i sacchi disperati di chi è arrivato dal mare. Mi hanno ricordato l’opera “Muro occidentale”, o “Del pianto”, opera di Fabio Mauri (costituita da un muro di valigie, rappresentazione dell’esilio, della fuga, dell’esodo forzato e dell’olocausto, ndr). Si vedevano nelle inquadrature questi bagagli; questa analogia delle valigie è soltanto un riferimento non dico estetico, ma emotivo. La presenza di una deputata ci ha ricordato che i parlamentari italiani sono mille. Ce n’era una. Da sola ha ritardato di qualche ora la partenza di quell’autobus e ci ha permesso di ricordare che noi sappiamo che quelle persone partono, ma non sappiamo dove arrivano, non abbiamo indirizzi e destinazioni.
Ci troviamo di fronte, esattamente, al cliché di comportamento, al modulo di comportamento che ha portato a quella che, a tanti in Italia, è sembrata un’apparizione improvvisa: quella delle leggi razziste. Ed è una modalità che si allarga quando si arriva, con la faccia dei giustizieri, all’aggressione alla stampa e ai mezzi di comunicazione, fatta con una violenza che non ha precedenti dal tempo del fascismo.
Esiste una teoria di governo, mentre noi stiamo parlando e riflettendo con dolore e disperazione su ciò che e accaduto nella storia, una teoria di governo che vuole che ci sia un complotto internazionale per sradicare i neri felici dall’Africa, costringerli a salire su imbarcazioni, diventare preda del mare, oppure delle ONG, anch’esse parte, insieme con gli scafisti, di un grande complotto di sostituzioni dei popoli. Qui siamo al cuore delle parole, se le parole hanno un senso e un peso e sono davvero pietre, come ci diceva Carlo Levi; ci testimoniano di una cultura aberrante che viene diffusa e ripetuta, e che è la cultura di governo in questo momento.
Ecco che cosa rende incredibilmente diversa la riflessione sulla Shoah oggi per noi, qui, insieme sulla base di una legge (l’istituzione del Giorno della memoria, ndr) che abbiamo, alcuni di noi, appassionatamente voluto per poter dire che quello sterminio c’era stato, e che non ci sono storie, non ci sono scherzi e smemorataggini che siano consentite, perché ciò che è stato, è stato.
Siamo di fronte al fatto che ciò che è stato, è.
Chi avrebbe immaginato il borioso gerarca fascista che se ne andava alle parate con le sue belle giacche di orbace e che sarebbe diventato il trasportatore di migliaia di altri italiani sui perfetti treni che hanno funzionato, anche quando tutto era fermo in Europa, per portare le vittime ai campi di sterminio?
Chi avrebbe immaginato? Gli antifascisti provavano un senso di ridicolo e di disprezzo per l’uomo che si metteva la giacca di orbace con medaglie per battaglie che non aveva combattuto, e che faceva il tronfio e il potente soltanto perché era fascista.
Purtroppo, se stiamo alle giacche, ci siamo già arrivati.
Siamo già arrivati a questa continua esibizione di se stessi come rappresentanti di un potere che può fare quello che vuole. Badate che l’affermazione “i porti sono chiusi, non c’è niente da fare” è un’affermazione folle, illegale e che francamente non so spiegarmi. […]
Una parte dello sterminio e già cominciata nelle prigioni libiche e viene fuori l’affermazione da parte di autorità di questo governo che la Libia sarebbe un porto sicuro. Pozzallo no, Lampedusa no, l’Italia no perché i porti sono chiusi senza spiegazioni e senza documenti, senza leggi e senza decreti, ma il territorio libico è un territorio sicuro dove le persone si possono mandare, trattenere e dove sappiamo, come hanno raccontato, si possono sterminare.
Non avrei mai pensato di parlare di cose del genere nel giorno della memoria e torno al giorno della memoria per ricordare ciò che Liliana Segre dice e ripete sul silenzio, sulla non interferenza con ciò che accade. Abbiamo visto un passato tremendo e spaventoso, abbiamo ricordato un passato che non doveva accadere mai più, ci siamo mobilitati per questo. Dobbiamo continuare a dirci che, davvero, questo non deve accadere più e che il silenzio è ancora troppo grande. >>


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