Un giovane Sherlock Holmes fra rigidità e paure. ‘Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte’ al Teatro Elfo Puccini di Milano

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Al centro della scena un cane di pezza trafitto da un forcone, in un lago di sangue. Sulle tre pareti che contengono la scena, grandi schermi su cui vediamo proiettati disegni stilizzati, schemini animati, parole scritte a caratteri cubitali. Sembra quasi di entrare nella mente di un adolescente, fatta tutta a fumetti, a concetti semplificati ma che si susseguono, veloci e traballanti, senza sosta.
L’adolescente in questione è Christopher Boone, un quindicenne con una rara forma di autismo che non gli impedisce di essere brillantissimo in matematica ma che gli carica il corpo di tic e tensioni e rende complicato il suo rapporto con il mondo esterno: odia essere toccato, non empatizza, non accede al piano metaforico, non ama i cambiamenti, detesta il marrone e il giallo. Le persone lo mandano in confusione, specie quando parlano senza parlare o dicono delle cose per significarne altre.

Non appena si apre il sipario, troviamo Christopher, nella sua felpa rossa e la sua gestualità a scatti, accanto al cadavere del cane Wellington, che apparteneva alla vicina di casa e che è stato ucciso. Tutti pensano sia stato lui, viene addirittura portato in caserma per accertamenti ed è così che il ragazzo decide di assumersi l’incarico di indagare su chi sia stato veramente ad uccidere il cane della signora Shears. Comincia in questo modo il suo percorso di formazione, che lo porterà a fare cose mai fatte prima, a sfidare i suoi limiti e a far luce su ben altri misteri.

La narratrice è l’insegnante di Christopher, Siobhan, che parla però anche in prima persona, come fosse il flusso di coscienza dei pensieri del giovane investigatore, ma che prende anche parte dell’azione e sprona il suo studente a tenere traccia scritta delle sue indagini, un po’ come un novello Sherlock Holmes. In nome di questa indagine, Christopher comincia a parlare coi vicini di casa, contravvenendo alle raccomandazioni del padre, preoccupato che vada a ficcarsi nei guai. Il vero grande interrogativo che aleggia sopra le vite di padre e figlio è come sia morta la madre di Christopher, scomparsa da un giorno all’altro anni prima.

Gli attori che interpretano i vicini, il poliziotto, la preside, lo zio, i passeggeri del treno, il padre e la madre, hanno ruoli multipli e costruiscono in prima persona la scenografia, fatta di panchetti che di volta in volta costituiscono l’arredo della caserma, della casa, della scuola, della stazione. E’ un meccanismo semplice ma efficace, anche per la risonanza con la contemporanea costruzione dei pensieri di Christopher, che vanno componendosi e scomponendosi proprio come blocchi geometrici accostati.

Una sera, rimasto a casa da solo, il ragazzo scopre 43 lettere scritte da sua madre e indirizzate a lui, che il padre gli aveva tenuto nascoste: mentre le dispone a cerchio per terra, la mamma racconta il suo disagio verso i disturbi del figlio, la fatica di sostenere lo sguardo degli altri su quel bambino così strano, la sua crisi con il marito. Quando il padre rincasa, è costretto a spiegare la verità: i riflettori rendono spiritati gli occhi di Christopher, sdraiato per terra con una busta in bocca.

Daniele Fedeli, ventiquattrenne di Tivoli già segnalato dal premio Hystrio nel 2012, riesce a entrare perfettamente nei panni di questo fragile ma incrollabile adolescente in difficoltà con le emozioni, come se qualcuno, anche tra i cosiddetti “normali”, ne fosse esente: la sua interpretazione della sindrome di Asperger enfatizza le rigidità e le paure che tutti abbiamo, mette in scena le idiosincrasie con cui tutti ci misuriamo, la difficoltà a farci toccare per davvero dagli altri; insomma, emoziona. Paradossalmente, non c’è nessun altro personaggio con cui si empatizza di più, nemmeno con l’imperfettissima (ma per questo molto umana) madre, che ricorre spesso ad urla quasi isteriche, creando un fastidio che, se è voluto, è davvero molto riuscito.

Da menzionare anche la preside, pedante e ripetitiva, ironicamente interpretata da Debora Zuin, e una toccante Cristina Crippa nella parte dell’anziana vicina di casa che si affeziona a Christopher, la signora Alexander.

L’espediente delle tre pareti su cui vediamo scorrere quel che passa nella mente di Christopher è l’elemento più suggestivo della regia, specie quando lo stesso protagonista entra nella proiezione come in un film, nascondendosi dietro le quinte.

Lo spettacolo ripercorre lo sviluppo narrativo del romanzo omonimo di Mark Haddon, fenomeno editoriale quando uscì nel 2003; ma la riscrittura teatrale di Simon Stephens ha fatto vincere allo spettacolo ben sette premi ai Laurence Olivier Awards del 2013, tra cui quello per migliore opera teatrale.

La rappresentazione si chiude, come era stato promesso in scena, con un’altra prova d’attore per Danieli, che si produce in una speditissima spiegazione di un problema geometrico che ha valso a Christopher il superamento di una prova di eccellenza in campo matematico. Declamata così, con un cappello da Chorus Line in testa e con tanto di lavagna luminosa versione extralarge, la dimostrazione del teorema di Pitagora sembra quasi uno spettacolo, anch’essa.

Il pubblico ha applaudito con calore al termine di questa prima nazionale. Lo spettacolo rimarrà a Milano fino al 13 gennaio, poi andrà in tournée a Torino.

LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE

di Simon Stephens 
dal romanzo di Mark Haddon
regia Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
con Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Alice Redini, Debora Zuin, Nicola Stravalaci, Daniele Fedeli, Davide Lorino, Marco Bonadei, Alessandro Mor


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