Federico, Stefano e le mele marce

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Il prezzo della verità sulla morte di Stefano Cucchi ha un costo disumano, è uno stupro di sentimenti e di memoria. Un tormento, un masochismo deviante al quale i famigliari di Stefano si sono dovuti piegare per raccogliere brandelli scomposti di verità. E’ cominciato con la diffusione delle foto di un corpo massacrato di botte, evidenti fin dall’inizio e negate contro ogni ragionevole dubbio da perizie e periti “maldestri o ben informati”. E’ continuato affrontando a testa alta aule processuali e subendo sentenze lacunose  e  arrendevoli, più che ingiuste. E’ proseguito tacendo o rispondendo con civiltà ad offese volgari anche di  ministri e rappresentanti dello Stato, stringendo senza arrendersi mani umide  di vergogna di chi sapeva e ha taciuto.

Ora che un muro è caduto, abbattuto dal “fuoco amico”, viene ancora di più da chiedersi  quale prezzo sia stato pagato per tutto questo.  Le scuse o gli inviti a palazzo non servono quando  la giustizia viaggia sulla pelle delle vittime, ostacolata e negata fino all’ultimo da un coacervo di omertà istituzionali libere di essere solo perché sicure della propria impunità. Si tratta  di poche mele marce? Per dirla con Alessandro Bergonzoni, ma chi le ha messe nella cassetta,  è stato controllato l’albero che le ha generate?

Altre storie, altre mele, sempre marce, altri Stefano. Si chiamava Federico Aldrovandi, “è stato morto, pestato e depistato”, 13 anni fa. Stesse foto, stessi personaggi senza una regia apparente ma con un copione ben recitato. C’è stata una mezza giustizia, perché fosse intera è mancato il pentimento.  Non è colpa della giustizia, ma dell’assenza di indagini e di riscontri immediati. In questo caso il fuoco amico non ha fatto errori. Il motivo di quel pestaggio compiuto da quattro poliziotti su un ragazzo di 18 anni non è mai stato accertato, anzi da due più due agenti perché la seconda volante arrivò venti minuti dopo l’incontro della prima con Federico. Perché dunque la violenta discussione? Federico ha visto o sapeva qualcosa? Come stava Federico e magari come stavano gli agenti?  Non lo nascondo per qualche giorno accarezzai l’illusione di trovare qualche parziale risposta, poi la porta si richiuse a doppia mandata e “l’appuntamento” saltò allora e fino ad oggi . Restano sensazioni, ombre ed emozioni dolorose che oggi la storia di Stefano e della sua famiglia rinnova. Per un muro che cade altri resistono, ma il “il caso Cucchi” ci avvisa di non scherzare troppo con i muri, spesso sono più fragili del previsto e a forza di scosse possono anche cadere. Non appoggiatevi troppo ai muri!

Filippo Vendemmiati giornalista – regista del documentario “E’ stato morto un ragazzo”.


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