“Radiogol”, ovvero un libro d’amore.

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Riccardo Cucchi è in pensione, ma non sembra.
Con i suoi capelli ricci e la sua vivacità, rimane il radiocronista di sempre, pronto a vedere e raccontare in diretta
una partita di pallone.
Riccardo ha i tempi della narrazione radiofonica e quando lo senti parlare vien da chiedersi se ci sia una
radio accesa nelle vicinanze.
Siamo così abituati ad ascoltarlo.
Infatti, ha scritto un libro che si chiama “Radiogol”. Nel titolo si fondono i suoi grandi amori, la radio e il calcio.
Fare il radiocronista era il sogno di Riccardo ed è stato un sogno realizzato. Anche per nostra fortuna, perché Riccardo
Cucchi ha saputo trasmettere emozioni, è riuscito a far sembrare le partite vicine, come se anche noi fossimo lì,
allo stadio, a pochi metri dal prato dove ventidue giocatori si contendevano un pallone. E nel turbinio delle
emozioni lui è stato in tutte le occasioni un giornalista, uno che raccontava con competenza quel che vedeva,
senza filtri o imposizioni. Magari un giorno gli tornerà la voglia di parlare al microfono. Lui ora dice di no, dice che
gli piace scrivere, che sta percorrendo una nuova vita, pur con più di una nostalgia. Ma dice anche che non lo potrebbe
mai fare in un’azienda concorrente alla Rai, la sua amata casa professionale.
Ha incontrato tanti personaggi, atleti e colleghi, quelli mitici come Ameri, Ciotti, Provenzali e tra gli sportivi forse
uno fra tutti, Diego Armando Maradona. Cucchi ricorda quando l’incontrò prima dei mondiali di Italia 90. Maradona
gli raccontò di quella serpentina nella partita dell’ottantasei con l’Inghilterra. A Maradona piaceva parlare della
sua Argentina e Riccardo racconta che si lasciarono come due vecchi amici, anche se non si erano mai frequentati.
Sempre stimato dai colleghi, Cucchi ricorda che ha avuto un problema con Sandro Ciotti che amava giocare a
Scopone. Partite a carte che si fanno nelle fasi monotone delle trasferte, magari quando c’è brutto tempo o
mentre si va in treno o, addirittura, in aeroplano. Una partita persa, Riccardo e Ciotti, contro Ezio Luzzi e un
passeggero. Ciotti non perdonò a Riccardo gli errori a causa dei quali perse la partita e gli disse, perentorio : “Spero
tu non faccia le radiocronache come giochi a carte”. Ricordi e ricordi, come quando con Ezio Luzzi, a Mosca con la neve
fu costretto a fare una telecronaca in piedi ed all’aperto. Alla fine tutti e due congelati con un tecnico che li guarda
e dice in romanesco “Ahò, sembrate du pupazzi de neve”.
Se non ci fosse amore per il proprio lavoro, non ci sarebbe così tanta voglia di ricordare, come Riccardo Cucchi ha fatto
in questo libro.
Al termine della sua avventura di narratore di calcio e di sport descrive il suo amore per la radio: “Perché la radio è una straordinaria
fabbrica di sogni, un moderno falò intorno al quale si ascoltano storie. E magari si conosce il mondo.”


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