Dalla Turchia all’Ungheria, repressioni e violenze contro l’informazione. A Istanbul fermato Kilic, documentava proteste operai dispersi con la forza

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Non c’è più limite alle repressioni della libertà di stampa, di espressione e di dissenso in Turchia.
In meno di 24 ore le forze dell’ordine hanno arrestato 543 operai edili e responsabili del cantiere del nuovo aeroporto di Istanbul, che manifestavano contro il governo per le pessime condizioni in cui sono costretti a lavorare, hanno impedito alla stampa di documentare la protesta fermando almeno 40 persone e disperso con gas lacrimogeni e sparando proiettili di gomma un presidio con dozzine di dimostranti scesi in piazza contro l’ondata di arresti del giorno precedente.
Tra i fermati anche un collega, il fotografo di AFP Bulent Kilic che era a Kadikoi, quartiere a ridosso del porto di Istanbul dove si svolgeva la dimostrazione, per coprire l’evento. È stato rilasciato solo dopo lunghe ore di custodia e di interrogatori.
Secondo la Confederazione dei sindacati rivoluzionari della Turchia circa 500 persone sono finite in carcere solo per aver ‘osato’ contestare quello che è considerato uno dei grandi progetti di sviluppo nel Paese, voluto fortemente del presidente Recep Tayyip Erdogan. Sono 35.000 le persone impiegate nel progetto, tra cui 3.000 tra ingegneri e unità amministrative.
I contestatori lamentavano morti e infortuni sul lavoro, nonché condizioni igieniche e di vita insostenibili.
Il quotidiano dell’opposizione Cumhuriyet ha riportato le denunce dei lavoratori che hanno raccontato do essere costretti a lavorare tra pulci e cimici.
Dall’apertura del cantiere sono morti 27 lavoratori durante la realizzazione delle infrastrutture del nuovo aeroporto.
Ma chiunque provi a scriverne o a documentare illeciti e irregolarità del progetto subisce ritorsioni.
Le condizioni per l’informazione in Turchia sono senza dubbio tra le più restrittive e gravi del panorama mondiale, ma anche l’Europa sta vivendo una nuova stagione di violenze e tentativi di intimidazioni contro la stampa senza precedenti.
L’ultimo in ordine di tempo è stato l’omicidio di Jan Kuciak, giornalista slovacco assassinato insieme alla fidanzata a colpi di pistola lo scorso ottobre. Qualche mese prima, a Malta, con un’autobomba era stata uccisa Daphne Caruana Galizia, reporter investigativa specializzata in corruzione.
Meno cruenti ma altrettanto allarmanti le leggi bavaglio adottate negli ultimi mesi in Paesi ‘democratici’ come Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca.
A testimoniare quanto la libertà di stampa in Europa sia sotto attacco, l’ultimo rapporto di Reporters sans frontières che ha lanciato l’allarme: il Vecchio continente rischia di trasformarsi in una grande zona di crisi.
Nella classifica annuale dell’organizzazione, molti paesi europei interessati dal boom dei movimenti populisti sono precipitati in ‘posizioni’ preoccupanti. Un esempio plastico il caso della Repubblica Ceca, passata dal 23esimo al 34esimo posto. Lo scorso anno il presidente Milos Zeman si è presentato in conferenza stampa con un Kalashnikov su cui era impressa la scritta: “per i giornalisti”.
Censure, pressioni, minacce, oltre ai controlli sulla Rete, sono stati registrati anche in Ungheria. Il presidente ungherese Viktor Orban ha imposto un limite alla libertà di stampa che condiziona la diffusione di annunci durante la campagna politica per l’emittente di stato, permettendo così potenzialmente di annullare la competizione elettorale per mezzo televisivo e radiofonico. La legge è stata giudicata anti-costituzionale dalla Corte Suprema.
Ma questo non gli ha impedito di proseguire la sua battaglia contro l’informazione libera, le politiche discriminatorie nei confronti dei migranti e la stretta su università e ong incorrendo nella ferma reazione dell’UE. Il 12 settembre il Parlamento europeo ha approvato la mozione che avvia un procedimento contro l’Ungheria con l’accusa di avere indebolito lo stato di diritto e le istituzioni democratiche del Paese.
Osservato speciale anche la Polonia dove il trend negativo in materia di libertà di stampa sale, come conferma Rsf. Varsavia si è ritrovata nell’ultimo rapporto al 58mo posto, il peggior risultato di sempre soprattutto per la decisione di Varsavia di imporre lo stop delle pubblicità delle aziende a controllo statale sui giornali che si oppongono al governo. Un chiaro intento intimidatorio e censorio in linea con le statistiche degli altri paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia).
E l’Italia purtroppo sembra avviata sulla stessa anticostituzionale è antidemocratica strada.


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